Una manciata di cifre per tratteggiare il quadro securitario in Burkina Faso, paese al centro delle cronache internazionali per la sua volontà manifesta e manifestata di staccarsi dalla Francia e aprirsi a nuove alleanze, in particolare con la Russia. Ma a parte l’età record del capo di stato Ibrahim Traoré (36 anni) – il più giovane al mondo a poter vantare questo titolo – tra gli aspetti più rilevanti figura la lotta al terrorismo.
Il Burkina ha, di fatto, numeri da paese in guerra. Dal 2016 ad oggi, gli scontri con i gruppi affiliati ad al-Qaida e allo Stato Islamico hanno reclamato più di 16,000 vittime. Di cui, almeno 6,000 sono civili. Il numero di rifugiati interni è impressionante: 2 milioni di persone sono fuggite dalle proprie zone per cercare riparo in altre aree del paese. Tutto questo in una popolazione di 22 milioni di abitanti.
Nel maggio di quest’anno, il primo ministro burkinabé Apollinaire Joachimson Kyélem de Tambèla ha dichiarato che le forze statali controllano solo il 65% del territorio. Una stima più generosa di quella elaborata dall’agenzia umanitaria UNOCHA (l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari), che nel novembre precedente aveva parlato di un controllo dello stato oscillante tra il 60 e il 40%.
Per far fronte a questa sfida esistenziale, il Burkina aveva proclamato lo stato di emergenza nel 1° gennaio 2019, sotto la presidenza dell’allora presidente civile Marc Roch Kaboré. Fu quest’ultimo a creare nel 2020 anche i Volontari di difesa per la patria (VDP), un’unità composta da volontari destinati a supportare l’operato dell’esercito.
Rimasti pressoché inoperativi per anni, i VDP hanno conosciuto un nuovo slancio sotto Traoré, che ne ha fatto il perno della sua strategia di sicurezza. Stando a fonti governative, 90mila volontari sono stati già arruolati, anche se solo qualche migliaia è già arrivato al fronte di battaglia.
Da punto di forza del sostegno popolare alla giunta militare, i VDP stanno diventando un accentratore di discordie per vari motivi. Si va dalle accuse di coscrizioni tra le loro fila di oppositori politici, a quelle ancora più deflagranti di responsabilità in vari eccidi di civili compiuti nel quadro della lotta al terrorismo. Secondo queste tesi, i VDP – in supporto all’esercito regolare – avrebbero condotto operazioni di rappresaglia contro i civili, ritenuti collaborazionisti con le forze terroristiche.
L’ultimo episodio in questo senso è avvenuto il 6 novembre, nel villaggio di Zaongo nel centro-nord. Le autorità statali hanno dichiarato ieri che il bilancio provvisorio è di 70 morti e che faranno luce sui fatti. Una posizione che al momento rassicura poco. La popolazione burkinabé attende ancora di conoscere i risultati dell’inchiesta delle autorità ufficiali su un massacro simile, avvenuto nel villaggio di Karma, nell’aprile di quest’anno. In quel caso si registrarono 147 vittime civili. VDP ed esercito sono stati accusati di essere i responsabili diretti dell’eccidio.
Il consenso popolare alla giunta militare di Traoré passa in gran parte dalla sua capacità di riconquistare il territorio e riportare la sicurezza nel paese. Una mossa preliminare per poi rilanciare un’economia che, come si può immaginare, versa in uno stato critico.