Eritrea: Afwerki cerca nuove alleanze nel Corno d’Africa - Nigrizia
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La diplomazia regionale del presidente eritreo nel contesto dei problemi interni del paese
Eritrea: Afwerki cerca nuove alleanze nel Corno d’Africa
La firma della pace nella regione etiopica del Tigray e la necessità di evitare un nuovo isolamento, sta imponendo al rais eritreo un riposizionamento nell’area. A tendergli la mano è il presidente kenyano, intenzionato a riportare Asmara nell’Igad e a divenirne il leader
17 Febbraio 2023
Articolo di Bruna Sironi (dal Kenya)
Tempo di lettura 7 minuti
Isaias Afwerki (a sinistra) e William Ruto ad Asmara (Credit: kenyan presidency)

Isaias Afwerki, il presidente al potere in Eritrea dalla sua liberazione, nel maggio del 1991 – quasi 32 anni senza nessuna conferma elettorale, in un paese in cui ha impedito anche la promulgazione della Costituzione – nei giorni scorsi ha rilasciato dichiarazioni per certi versi inaspettate e per altri sorprendenti, soprattutto per quanto riguarda la collocazione del paese nello scenario regionale e internazionale.

Lo ha fatto durante una visita di stato in Kenya e nella prima parte di un’intervista rilasciata ai mezzi d’informazione del regime, Eri Tv e Radio Dimtsi Hafash (Voce delle masse).  

Isaias, accompagnato dal ministro degli esteri Osman Saleh e dall’onnipresente Yemane Gebreab – potente consigliere e capo dell’ufficio politico del Pfdj, il partito unico al potere – è arrivato a Nairobi l’8 febbraio su invito del presidente kenyano William Ruto che, a sua volta, era stato in visita ufficiale ad Asmara lo scorso dicembre.

Per il presidente del Kenya, eletto nell’agosto dell’anno scorso, era la quarta visita ufficiale nella regione, preceduta da quelle in Uganda, in Tanzania e nella Repubblica democratica del Congo.

Le due visite ufficiali a poche settimane di distanza possono sicuramente essere intese come un segno di cambiamento nei rapporti diplomatici tra i due paesi, finora ben poco significativi. L’ultima visita di stato di Isaias Afwerki in Kenya risaliva al 2018 e chiudeva un periodo di tensioni dovuto alle posizioni eritree sulla Somalia.

Asmara era stata accusata dapprima di ospitare gli islamisti somali fuggiti da Mogadiscio, incalzati dall’esercito etiopico che aveva messo fine al governo delle Corti islamiche. In seguito proprio Nairobi l’aveva incolpata di fornire armi al gruppo qaidista al-Shabaab che dilagava non solo in Somalia, ma anche nelle regioni di popolazione somala del Kenya.

L’accusa aveva provocato sanzioni da parte dell’Onu, rimaste in vigore fino al 2019, pochi mesi dopo la firma della pace tra Etiopia ed Eritrea, dopo quasi vent’anni di conflitto a bassa intensità. Erano vive, allora, le speranze di un miglioramento della sicurezza e della stabilità nella regione.

Riposizionamenti

Durante le due recenti visite molto si è discusso del rafforzamento dei rapporti politici e diplomatici, oltre che economici, sociali e culturali, tra i due paesi. I risultati sono stati resi pubblici il 9 febbraio, attraverso un comunicato e una conferenza stampa congiunti. E le novità sono di notevole portata.

I due paesi si sono impegnati alla cooperazione in diversi settori, compreso il reciproco supporto negli organismi internazionali. Per facilitare le relazioni, il Kenya aprirà un’ambasciata ad Asmara.

La decisione che avrà maggior impatto sulla vita dei cittadini dei due paesi, ma soprattutto degli eritrei, è l’abolizione del visto che ne permetterà la libera circolazione con conseguenti facilitazioni nel settore commerciale e nell’accesso a servizi che in Eritrea scarseggiano, come l’istruzione universitaria.

Se la norma sarà applicata in tutta la sua estensione, si tratta di una vera e propria novità, dal momento che, a causa dei sospetti di sostegno al terrorismo somalo, è stato a lungo molto difficile per gli eritrei ottenere visti per Nairobi. Ed è certamente un grosso cambiamento anche per il regime eritreo.

L’eliminazione del visto potrebbe infatti facilitare l’uscita dal paese di molte persone, soprattutto giovani, che potrebbero dirigersi verso il Kenya, dove potrebbero vivere legalmente, sottraendosi agli abusi delle reti di trafficanti che ora agiscono nel paese anche grazie alla collusione con uomini delle forze dell’ordine. Sarà interessante capire come il regime di Asmara e il governo di Nairobi pensano di regolamentarne il flusso.  

“Riprogettare l’Igad”

Ma la decisione più rilevante per le relazioni regionali è l’impegno dell’Eritrea a ritornare nel consesso dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad), organizzazione di cui fanno parte Gibuti, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Uganda. L’Eritrea, pure tra i membri fondatori, aveva sospeso la sua partecipazione nell’aprile del 2007, dopo un’accesa discussione su questioni riguardanti la situazione somala.

La decisione sottolineava anche l’isolamento del paese nella regione ed era un ulteriore passo nella sua chiusura nei confronti della comunità internazionale, iniziata a causa dell’inerzia di quest’ultima nell’imporre ad Addis Abeba il rispetto delle decisioni della commissione competente sui confini tra i due paesi.

In precedenza il presidente eritreo aveva già criticato aspramente e pubblicamente l’organizzazione. Sul sito governativo shabait.com, si poteva leggere che la decisione era motivata da “ripetute e irresponsabili risoluzioni che minano la pace e la sicurezza della regione adottate sotto la maschera dell’Igad”.

Da allora l’Igad è diventato il tavolo a cui la comunità internazionale ha delegato la ricerca delle soluzioni dei conflitti e delle tensioni regionali. Un tavolo non sempre efficace, ma comunque riconosciuto come quello attorno a cui si muove gran parte della diplomazia regionale.

Il ritorno dell’Eritrea, fortemente sollecitato dal presidente kenyano Ruto che ambisce a diventarne il leader, segnala un cambio di passo del regime, dopo aver sperimentato l’isolamento e le alleanze bi o trilaterali, come quella con l’Etiopia di Abiy Ahmed e la Somalia di Mohamed Abdullahi ‘Farmajo’ che ha sostenuto Addis Abeba nella guerra in Tigray.

Ma il presidente Isaias non rinuncia a ricordare alcuni capisaldi nella sua visione delle debolezze dell’organizzazione. Nel comunicato stampa congiunto alla fine della visita ufficiale a Nairobi, si legge che i due capi di stato “hanno concordato di lavorare di comune accordo con gli altri stati membri per riprogettare l’Igad”.

Non rinuncia neppure a sottolineare le linee della collocazione del paese nel contesto internazionale.

L’eterno nemico

Al momento della sospensione della partecipazione all’Igad, l’allora ministro eritreo dell’informazione, Ali Abdu – uno dei pupilli del presidente che ha preferito lasciare il paese -, aveva dichiarato: «L’organizzazione è manipolata da forze esterne». E l’allusione agli Stati Uniti, ritenuti tra l’altro responsabili di sostenere l’Etiopia nella sua scelta di non rispettare le decisioni internazionali sui confini, era allora chiarissimo.

A molti anni di distanza, agli Usa è ancora attribuita la responsabilità di mestare negli affari regionali.

Nell’intervista rilasciata nei giorni scorsi ai mass media di regime, Isaias ha dichiarato che gli Stati Uniti hanno sostenuto il Tigray nella guerra con Addis Abeba. Retropensiero neppure tanto nascosto: così si è arrivati ad una trattativa di pace invece che a una resa incondizionata del Tplf, percepito ad Asmara come un pericolo incombente in uno scontro in cui la posta in gioco è la sopravvivenza stessa del regime.

Queste dichiarazioni si sono accompagnate a quelle solite, di negazione di responsabilità nelle atrocità avvenute in Tigray, descritte come «fantasie», di minimizzazione dell’intervento diretto a fianco dell’esercito nazionale etiopico, di rifiuto di ammettere le perdite subite o di rispondere a domande dirette su questioni quali la successione.

Un atteggiamento, dunque, di fondo ambiguo, in cui il ritorno nel giro della diplomazia regionale si accompagna al posizionamento di sempre sui temi più delicati che riguardano la politica interna.

Negli stessi giorni delle aperture all’Igad usciva un rapporto di Human Rights Watch che dava conto delle modalità della durissima campagna di reclutamento, anche di minori, organizzata dal regime negli scorsi mesi, in cui è stata introdotta l’espropriazione di fatto delle proprietà delle famiglie dei renitenti alla leva. Modalità che hanno fatto pensare alla preparazione di una nuova offensiva.

Ѐ lecito chiedersi, allora, come sia possibile legare le due direzioni espresse negli stessi giorni dal presidente eritreo. Probabilmente non è possibile e si vedrà in futuro quale delle due prevarrà.

 

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