"Eritrea nel mondo". Al parlamento europeo una tavola rotonda su tratta e repressione - Nigrizia
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Organizzato dall'organizzazione belga EEPA, l'incontro segue mesi di tensione fra la diaspora eritrea in Europa e nel mondo
“Eritrea nel mondo”. Al parlamento europeo una tavola rotonda su tratta e repressione
La giornalista Asefaw, residente a Londra: «Retorica guerrafondaia del governo fa paura anche all'estero». La situazione, nel paese e fra la diaspora, è peggiorata dopo la guerra nel Tigray
31 Ottobre 2023
Articolo di Bruna Sironi
Tempo di lettura 5 minuti
Una manifestazione della diaspora eritrea in Italia. Dal sito di Martin Plaut

Mercoledì 25 ottobre EEPA – European External Programme for Africa (Programma esterno europeo per l’Africa) una organizzazione della societá civile belga che si pone l’obiettivo di assicurare che giustizia, uguaglianza e responsabilità siano sempre i valori fondanti nelle relazioni internazionali europee – ha organizzato una tavola rotonda dal titolo Eritrea in the World” (L’Eritrea nel mondo)

L’incontro, ospitato dalla parlamentare del gruppo dei Verdi Katrin Langensiepen, si è svolto presso la sede del Parlamento europeo. È stato seguito da diverse decine di persone, in presenza e online.

La maggioranza erano parlamentari europei, eritrei della diaspora, molti in rappresentanza di organizzazioni della società civile che si occupano di diritti umani nelle loro diverse accezioni e di forze politiche di opposizione, funzionari dell’ambasciata eritrea in Belgio e presso le istituzioni europee.

Gli scontri nella diaspora 

L’iniziativa è arrivata alla fine di un’estate caratterizzata da tensioni e scontri tra gruppi di eritrei – sostenitori e oppositori del regime del presidente Isaias Afwerki – in diversi paesi europei in occasione dei tradizionali meeting estivi organizzati dai fedelissimi del governo di Asmara. In alcuni casi, a Stoccarda, in Germania, per esempio, gli incontri, sono stati cancellati per salvaguardare l’ordine pubblico.

Lo scopo dichiarato delle iniziative è quello di facilitare l’incontro tra famiglie e comunità sparpagliate in diversi paesi e continenti, ma l’obiettivo reale, dicono gli oppositori, è quello di raccogliere fondi e di preparare una platea per seminari e discorsi degli alti papaveri del regime in modo da diffonderne direttive e linee politiche.

Particolarmente preoccupante, ha sottolineato Marymagdalene Asefaw, una giornalista eritrea residente a Londra, è la retorica nazionalista e guerrafondaia che fa da sfondo a spettacoli musicali e discorsi infiammati che, oltre che essere negativa in sé, è percepita anche come una minaccia dagli eritrei rifugiati e richiedenti asilo.

La tavola rotonda del 25 ottobre scorso ha fatto il punto sulla situazione con lo scopo di chiarire, ancora una volta, le dinamiche che portano all’espulsione di tanti giovani dal paese, il traffico di esseri umani che alimenta e le difficili relazioni all’interno delle comunità nella diaspora.

Lo scopo è chiaramente individuabile: politiche europee che garantiscano la sicurezza dei profughi e dei richiedenti asilo eritrei e impediscano al regime di Asmara di intimidire i propri cittadini anche all’estero.

Numerosi gli argomenti approfonditi dagli oratori, alcuni dei quali hanno toccato aspetti della questione ancora non sufficientemente conosciuti.

Gli effetti della guerra in Tigray 

Mohamed Abdelsalam Babiker, speciale rapporteur dell’ONU sul rispetto dei diritti umani in Eritrea, si è soffermato in particolare sull’impatto del coinvolgimento dell’esercito eritreo nella guerra nella regione etiopica del Tigray.

«Non riesco a sottolineare abbastanza l’impatto perverso del conflitto sulla situazione dei diritti umani» nel paese, ha detto, e ha proseguito parlando di campagne per l’arruolamento forzato di migliaia di giovani, uomini e donne, ma anche di persone anziane e di minori. Molte migliaia sono morte in combattimento, ma, in numerosi casi le loro famiglie vivono ancora nell’angoscia, senza essere state informate sulla loro sorte.

Chi ha cercato di sfuggire all’arruolamento forzato è stato detenuto in condizioni disumane e degradanti e ha subito torture. Le loro stesse famiglie e comunità sono state punite collettivamente, scacciate dalle loro stesse case ed espropriate di tutti i beni. Babiker osserva che, purtroppo sono cose già viste nel paese, ma dal 2020 il grado della repressione è diventato ancora maggiore.

Queste, e altre violazioni delle libertà individuali, come quella della proibizione di professare la propria fede, hanno causato l’espulsione di centinaia di migliaia di persone, della quali 577mila hanno chiesto protezione, secondo dati dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Le loro condizioni si sono aggravate con il peggioramento dell’instabilità nel Corno d’Africa. Più di 130mila eritrei vivevano in Sudan il 15 aprile scorso, allo scoppio del conflitto che sta devastando il paese.

Babiker si è appellato all’Unione e ai paesi europei perché provvedano ad aprire vie legali in modo da facilitare i trasferimenti in Europa e garantire loro un’effettiva protezione.

Il traffico di essere umani verso la Libia 

Tra le numerose interessanti relazioni, è da ricordare quella di Kai Smits, dottoranda dell’Università di Tillburg, che ha presentato il testo “Enslaved. Trapped and traffiked in digital black holes. Human traffiking trajectories to Lybia” (Schiavizzati. Intrappolati e trafficati attraverso buchi neri digitali. Traiettorie verso la Libia del traffico di esseri umani).

Secondo le ricerche effettuate, ogni persona trafficata viene bollata con un codice digitale in modo che non possa mai sottrarsi alla rete criminale. Secondo gli estensori del volume, dal 2017 al 2021, almeno 200mila persone sono state vittime di tratta in Libia. I riscatti estorti alle loro famiglie ammontano ad un minimo di un miliardo di dollari.

Nel libro è anche documentato il fatto che «il regime eritreo ai più alti livelli è colluso con le reti criminali dei trafficanti che tengono i richiedenti asilo eritrei in condizioni di schiavitù e ne facilitano le operazioni».

Martin Plaut, ricercatore all’università di Londra, ha concluso la tavola rotonda ricordando altre ricerche europee sulla condizione dei profughi eritrei. Ha sottolineato il fatto che l’Unione Europea conosce molto bene la situazione. Ma sono necessarie azioni per prevenire il traffico di esseri umani in Libia e per impedire che “la lunga mano” del regime eritreo si estende anche sulle comunità all’estero, e in particolare sui rifugiati e sui richiedenti asilo.

La tavola rotonda è stato un importante richiamo al dovere di proteggere, garantito dalle convenzioni internazionali vigenti, sempre più disatteso dall’Unione Europea, e da alcuni suoi membri in particolare.

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