
Nel 2010 e nel 2013, al largo della costa settentrionale del paese sono state scoperte enormi quantità di gas: oltre 5mila miliardi di metri cubi, la nona riserva più grande al mondo. Si prevede che per sfruttare questa immensa quantità di gas saranno investiti almeno 60 miliardi di dollari, quattro volte il Pil del Mozambico.
Il rapporto pubblicato a metà giugno dalla Ong ambientalista Friends of the Earth (Gas in Mozambico, una manna per l’industria, una maledizione per il paese) svela come il settore del gas abbia già portato a uno scandalo del debito finanziariamente rovinoso, alimentato la violenza nella provincia interessata, quella di Cabo Delgado, e costretto numerose comunità ad abbandonare le proprie case, prima ancora che sia iniziata l’estrazione vera e propria.
Non va poi dimenticato che i tre progetti attualmente in fase di sviluppo hanno il potenziale di rilasciare in aria 49 volte le emissioni annuali di gas serra del Mozambico, e 7 volte quelle della Francia. Una vera e propria “bomba climatica”, la definiscono i ricercatori di Friends of the Earth. Per la realizzazione dello studio, va ricordato, hanno contribuito esponenti degli uffici del Mozambico, della Francia e dell’internazionale.
“Da diversi anni l’intero arsenale della diplomazia economica francese lavora per difendere gli interessi di Parigi in Mozambico” ha denunciato l’Ong. Il governo ha destinato più di 500 milioni di euro di denaro pubblico attraverso crediti all’esportazione per sostenere le compagnie estrattive, con ulteriori garanzie previste in futuro. A guidare il progetto Mozambico LNG è il gigante petrolifero francese Total, mentre le banche transalpine Société Générale e Crédit Agricole sono i consulenti finanziari di punta.
La Francia avrebbe “fatto la sua parte” anche nello scandalo dei tuna bonds del 2013, che ha fatto sprofondare lo stato mozambicano in una profonda crisi economica, accollandogli un debito di due miliardi di dollari per il cui rimborso sono vincolati i ricavi derivanti dal gas.
E poi c’è la disastrosa situazione sul campo, che la diplomazia economica e la cooperazione militare starebbero solo peggiorando. Come accennato, le riserve di gas si trovano infatti nello specchio di mare davanti alla provincia settentrionale di Cabo Delgado, il cuore da circa tre anni dell’attività terroristica di affiliati dl movimento somalo al-Shabaab.
Dall’ottobre 2017, i gruppi jihadisti hanno aumentato gli attacchi contro le popolazioni civili e le forze militari a Cabo Delgado, dove il conflitto ha ucciso oltre 1.100 persone e ne ha sfollate oltre 100mila. Sul territorio cresce anche il numero di armi prodotte in Francia e di società di sicurezza private (non solo francesi, ce ne sono di russe, statunitensi e sudafricane).
A fianco della Total, ci sono anche l’italiana Eni e la statunitense ExxonMobil, il cui obiettivo è iniziare a sfruttare le riserve entro il 2022-23. Le due società sono partner nel progetto Rovuma LNG, cruciale per l’espansione dell’industria nel paese. Nonostante le grandi attese, la decisione finale sull’investimento in Rovuma continua ad essere rimandata dalla compagnia americana. La pandemia di Covid-19 sembra aver complicato ulteriormente le cose.
La stessa Eni, durante l’ultima assemblea degli azionisti dello scorso 13 maggio, ha annunciato tagli significativi ai propri investimenti per i prossimi anni.
Al momento, l’unica cosa certa è che per le popolazioni di Capo Delgado l’arrivo delle compagnie petrolifere non ha portato nulla di buono.