Il vuoto di 60 anni di "indipendenza" - Nigrizia
Ciad
Il Ciad fa memoria
Il vuoto di 60 anni di “indipendenza”
Il giovane missionario comboniano ciadiano mette il dito, senza sconti, dentro le piaghe del suo paese oggi di fronte ad una tappa storica. Tra ferite sempre aperte, occasioni mancate, conflitti etnici mascherati da religiosi e una crescente miseria della popolazione nell'era dell'estrazione del petrolio. Provando a intravedere qualche barlume di speranza all'avvenire
11 Agosto 2020
Articolo di Ngoré Gali Celestin, da Kinshasa
Tempo di lettura 7 minuti
11agosto
Il primo presidente del Ciad, François Ngarta Tombalbaye, l'11 agosto 1960

Il Ciad, come alcuni altri paesi africani, ha ottenuto l’indipendenza nel corso di un epoca burrascosa, a fine anni cinquanta del secolo scorso, in cui andavano affermandosi nel continente rivendicazioni di libertà sempre maggiori. Ma il paese non sapeva certo cosa l’indipendenza avrebbe comportato. Oggi siamo già arrivati a 60 anni: quali conclusioni possiamo tirare di quel sogno? L’indipendenza ha mantenuto le promesse di quegli anni? Come è cambiata la situazione politica ed economica del paese? Come si sono trasformate le famiglie ciadiane? Difficile rispondere a tutte queste domande in modo sincero e oggettivo senza essere tentati da puri pessimismo e delusione.

Il primo presidente del Ciad “libero” ad entrare nella storia, in quel fatidico 11 agosto 1960, fu François Ngarta Tombalbaye, cristiano originario del sud. Il suo avvento al potere scatena le ire dei nordisti, esclusi da tutti i posti chiave. Prevalentemente musulmani, cominciano così ad organizzarsi e negli anni sesanta nascono il FROLINAT, Front de Liberation nationale du Tchad (il Fronte di Liberazione Nazionale del Ciad), un movimento di difesa di interessi delle popolazioni del nord, e la protesta dei nomadi Toubou nel deserto. Questa instabilità rimette in gioco l’ex colonia che schiera le truppe al fianco del governo. La Francia non aspettava altro. Del resto aveva lasciato un paese in ginocchio proprio perché questo chiedesse, da subito, una mano per essere rimesso in piedi. E quindi mai autonomo.

Il 13 aprile 1975 un complotto sudista fa fuori il presidente dando inizio ad una lunghissima fase di conflitti interni che attanagliano il paese fino ad oggi. Ogni etnia vuole la sua parte. Ma quella del leone tocca allo spietato dittatore, originario del nord e di etnia Gorane, Hissene Habré, sulla poltrona più alta del paese dal 1982 al 1990. Anni atroci di partito unico, repressione di ogni forma di dissenso, caccia agli oppositori. Un genocidio con oltre 40.000 persone massacrate, fatte sparire, cancellate dalla mappa del paese. Genocidio che lo inchioda, solo nel 2016 al termine di un lungo e controverso processo, all’ergastolo in Senegal dopo lunghi anni di dorato esilio.

L’avvento al potere del presidente Idriss Deby Itno con un colpo di Stato, nel dicembre 1990, sempre con il sostegno della Francia, ha ridestato nella popolazione qualche illusione di una nuova era di pace e democrazia. Ma ci pensano ben presto gli interessi personali e familiari di chi é al vertice a deludere e soffocare quelle attese.

Il prossimo 1 dicembre, “il maresciallo”, la più alta carica militare con cui verrà insignito oggi il presidente, avrà trascorso trent’anni al potere, metà dei lustri dell’indipendenza. Anche se esiste oggi un sistema politico multipartitico, è solo sulla carta per dare una parvenza di democrazia. L’opposizione del resto è ininfluente, spesso divisa e qualche volta comprata. Gli avversari politici non hanno strategie e mezzi efficaci di fronte al “maresciallo” e non lo spaventano affatto.

Dentro questo regime, che esercita il suo dominio col pugno di ferro, la Francia, il paese colonizzatore, ha la sua parte di responsabilità. Non ha affatto aiutato il Ciad a stabilire una democrazia degna di questo nome mostrando i suoi interessi egoisti. Il presidente Idriss Déby, durante una recente intervista televisiva a France 24, ha fatto questa dichiarazione scioccante: “È la Francia che mi ha costretto a modificare la costituzione per rimanere al potere e oggi è lei che osa criticarmi? “. Forse è troppo comodo dire che sono gli altri i responsabili del ritardo del paese.

Ma non si può nemmeno dire che la Francia abbia le mani pulite dentro al putrido groviglio di interessi che tengono in scacco un paese intero e provocano una cronica sofferenza della popolazione. Ha bisogno dei suoi uomini nei posti giusti per controllare petrolio, oro e uranio, affari, posizione geostrategica, lotta al terrorismo di Boko Haram. Parigi rimane del resto l’unica ex colonia che interferisce così vistosamente nella vita politica di diversi paesi africani, rendendo il loro spazio democratico ancora più ristretto.

Il Ciad rimane così lacerato da una persistente e cronica instabilità fatta di conflitti interetnici per il potere spesso presentati sotto la parvenza di scontri religiosi. Un clima politico così frastagliato non ha certo favorito lo sviluppo socioeconomico del paese durante il periodo della presunta libertà.

La caotica vita sociale del Ciad di oggi é proprio il frutto di queste molteplici guerre civili e tensioni scatenatesi all’indomani dell’indipendenza visto che dopo l’uccisione di Ngarta Tombalbaye nel 1975, da Felix Malloum, primo successore, all’attuale Idriss Deby, il potere è sempre stato preso con la forza e mai restituito a un governo civile a seguito di elezioni democratiche. Che certo si sono svolte ma solo di facciata. Insicurezze e instabilità così evidenti che pesano ancora oggi sulla popolazione.  Dai dati dell’UNDP, l’agenzia dell’Onu per lo sviluppo, circa il 75% dei ciadiani vive al di sotto della soglia di povertà. Tra le popolazioni rurali che la situazione è più grave, con l’87% della popolazione povera.

E questo nonostante l’estrazione del petrolio dal 2003 che in molti dipingevano come una manna per il paese. Al contrario siamo di fronte ad una situazione di crescente miseria della popolazione. Anche se i proventi del petrolio hanno permesso allo Stato del Ciad di costruire edifici, ville, strade, scuole e ospedali. Tuttavia, nel piatto quotidiani dei ciadiani si riducono le calorie.

“Abbiamo costruito edifici, centri sanitari, scuole, ma non ci sono medici o insegnanti che li gestiscano”, afferma il leader dell’opposizione Saleh Kebzabo. L’arcivescovo di N’Djamena, mons. Edmond Djitangar, lamenta la mancanza di dialogo: “Dobbiamo mettere in atto una vera amministrazione e una reale pianificazione dello sviluppo per risolvere la crisi sociale. I ciadiani stanno soffrendo. Siamo in preda a una crisi sociale senza fine”.

Ormai più nessuno crede ai proclami di cambiamento e di svolta da parte del partito al potere. Continuiamo a sentire le sirene della costruzione di uno Stato di diritto, democratico, fonte di pace duratura, stabilità politica e sviluppo economico. Ma questo é un processo che non si proclama né si decreta: richiede l’adesione di tutti, altrimenti sarà sempre una volontà e un ideale espressi, ma senza reale realizzazione.

E le religioni che ruolo giocano dentro questo marasma?
Più di 250 gruppi etnici coabitano, con molte fatiche, abbracciando già ben prima dell’indipendenza, religioni tradizionali, islam e cristianesimo. Tendenzialmente legati da vincoli di rispetto i fedeli delle diverse religioni hanno visti incrinati i loro rapporti a partire proprio dall’indipendenza. I lunghi anni delle guerre civili hanno diviso i ciadiani e hanno instillato in loro una mentalità che privilegia il particolarismo e la divisione. Si è cominciato a distinguere “nord e sud”, “cristiano e musulmano”.

Anche se vivono insieme in scuole, istituti e università, quartieri delle città, non è semplice la frequentazione e il sentirsi parte di un unico progetto per il paese. La popolazione ciadiana è oggi segnata da questa scissione, questa spaccatura nord-sud dal sapore religioso che ha alimentato il fattore della distinzione. Anche su queste divisioni l’amministrazione coloniale ha buona parte di responsabilità. Ma qualcosa sta cambiando in questi ultimi anni dove la coabitazione pacifica tra etnie e religioni è tornato il tema urgente su tutti i tavoli di concertazione sociale a cui devono rispondere i giovani per costruire il Ciad di oggi e di domani.

Oggi il paese ha bisogno urgente di leader che trattino con tutte le forze sociali, economiche e religiose del paese per ridare slancio ad un progetto comune. Servono persone che amino il proprio popolo e non soltanto la propria famiglia e il proprio portafoglio. Gente capace di relazionarsi con le potenze straniere come partner e non come sudditi.

Tra loro si sta facendo strada un giovane capace di catalizzare le speranze dei tanti che non ci credevano più: si chiama Succès Masra, economista originario del sud, presidente del partito “Transformers”. Alla vigilia dei 60 anni ha denunciato il comportamento e le responsabilità dei regimi che si sono succeduti al potere dall’indipendenza ai giorni nostri: “L’indipendenza celebrata con le fiaccole significa che meno di un ciadiano su 10 avrà accesso all’elettricità, solo il 5% della popolazione avrà accesso a Internet e 4,5 milioni di bambini lasceranno il sistema scolastico prima dei 15 anni. E noi politici, offriamo ai nostri connazionali questo teatro? Fino a quando ci laveremo le mani con le lacrime della nostra gente?”

 

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