In Qatar il Marocco sulla vetta del calcio mondiale - Nigrizia
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L'impresa storica dei Leoni dell’Atlante risveglia le ambizioni della comunità italo-marocchina
In Qatar il Marocco sulla vetta del calcio mondiale
La conquista delle semifinali è un traguardo ottenuto dal Marocco anche grazie a investimenti lungimiranti sui giovani talenti della diaspora europea. Un’impresa di riscatto che ispira milioni di ragazzi e ragazze di discendenza marocchina anche in Italia
13 Dicembre 2022
Articolo di Alex Čizmić
Tempo di lettura 4 minuti
Giovani sostenitori del Marcocco in festa dopo la qualificazione alle semifinali

Il Marocco è entrato nella storia. I Leoni dell’Atlante sono diventati la prima nazionale africana ad aver raggiunto le semifinali di un Mondiale. Lo hanno fatto dopo aver disputato la migliore fase a gironi di sempre per il continente africano e aver sconfitto Spagna e Portogallo rispettivamente agli ottavi e ai quarti di finale.

Questo trionfo potrebbe risultare ancora più inaspettato perché arriva dopo due edizioni di Coppa d’Africa fallimentari. In particolare quella del 2019, in cui il Marocco era nettamente una delle squadre favorite. In realtà, si è trattato di due singole e occasionali battute d’arresto all’interno di un processo di crescita avviato più di un decennio fa.

Il Marocco è il paese africano calcisticamente più sviluppato e il più preparato in termini di formazione giovanile. L’Accademia Mohamed VI, inaugurata nel 2009 dal re in persona dopo un investimento di 13 milioni di euro, è unica in Africa ed è al livello delle migliori scuole calcio del mondo.

Tra i giocatori che compongono l’attuale rosa della nazionale maggiore, Youssef En-Nesyri del Siviglia, Nayef Aguerd del West Ham, Azzedine Ounahi dell’Angers e il portiere del Wydad Casablanca Ahmed Reda Tagnaouti sono cresciuti nel centro di allenamento di Salé, vicino alla capitale Rabat.

È dunque chiaro come l’impatto che l’allora direttore tecnico dell’accademia Nasser Larguet ha avuto sul progresso del calcio marocchino sia stato notevole. È stato sempre lui che nel 2014, nella fase iniziale della sua esperienza con la Federcalcio marocchina, ha iniziato a tessere una rete di osservatori in Europa con l’obiettivo di individuare i giovani più promettenti di origine marocchina che stavano spuntando dalle diaspore del vecchio continente.

Il primo acquisto dell’attuale direttore tecnico dell’Arabia Saudita è stato Rabie Takassa, osservatore di base a Madrid che collaborava già da qualche anno con la federazione. Poiché l’immigrazione marocchina in Spagna non ha una storia di lunga data come in Francia o in Belgio, Takassa ha preso l’iniziativa di trasferirsi nel paese iberico perché si era reso conto che negli anni a venire sarebbero emersi molti giocatori originari del suo paese.

Ha iniziato a stabilire rapporti con i calciatori nel 2008 quando è entrato in contatto per la prima volta con Zouhair Feddal, attuale difensore centrale del Real Valladolid. Ora è il coordinatore degli osservatori marocchini in Europa e gestisce un gruppo di cinque professionisti che, oltre alla Spagna, coprono Francia, Italia, Germania, Paesi Bassi e Belgio.

«C’è un lavoro globale che consiste nell’avere una visione generale di tutti i giocatori», dice. «Poi, a seconda delle esigenze di ogni squadra nazionale, ci concentriamo maggiormente su determinate posizioni, ma se troviamo talenti come Achraf Hakimi il resto passa in secondo piano». Di questi osservatori c’è bisogno quando il talento non è ancora sbocciato. Ecco perché il monitoraggio dei calciatori può iniziare a partire dai 12 anni.

Ed è proprio questa attenzione capillare e la volontà di guardare al futuro che sta permettendo al Marocco di godere di tutte le migliori risorse che le sue diaspore in Europa stanno producendo, compresi i volti nuovi che hanno arricchito la rosa del ct Walid Regragui per questi Mondiali. Tra loro l’attaccante del Bari Walid Cheddira e il centrocampista della Sampdoria Abdelhamid Sabiri.

Takassa ammette che le conversazioni con i giocatori binazionali raramente prendono la piega sbagliata ed è convinto che anche per i tanti calciatori che giocano nelle nazionali giovanili di altri paesi poter esordire nella nazionale maggiore del Marocco sarebbe un sogno.

Orgoglio e riscatto

«Tutti i giocatori di origine marocchina, anche se nati e/o cresciuti in Europa, sentono sempre dentro una fiamma che arde per il Marocco», rivela, ricordando come le famiglie di questi ragazzi si impegnino per mantenere saldo il legame con le proprie radici.

Un legame che la comunità italo-marocchina sta rivendicando con orgoglio attraverso il cammino mondiale dei Leoni dell’Atlante. «I successi della nazionale sono anche i nostri successi», dice Younes, giovane italo-marocchino di Reggio Emilia. «Il messaggio che sta lanciando questo gruppo di calciatori, composto principalmente da figli di immigrati, è che siamo davvero capaci di puntare a qualunque obiettivo».

Regragui e i suoi uomini hanno rivisitato il concetto di ambizione per molti dei loro connazionali che vivono ai margini delle società europee o che, quantomeno, vengono faticosamente considerati parte integrante della popolazione. L’exploit della selezione nordafricana, che si appresta a sfidare la Francia campione del mondo in carica, è visto come una sorta di riscatto sociale.

«Il Marocco è una nazionale che soffre e lotta per portare a casa le partite e noi lottiamo e soffriamo insieme a loro», afferma Jalal, cresciuto nelle Marche. «Come dice il ct Regragui, dobbiamo cambiare la nostra mentalità e credere maggiormente in noi stessi», continua Younes. «Oggi noi italo-marocchini sentiamo di non essere più gli ultimi e di poter finalmente sognare in grande».

 

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