La Namibia incrementa gli sforzi contro la pesca illegale dall’Angola
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Il 50% di tutte le operazioni navali di controllo e monitoraggio si concentrerà al confine con le acque territoriali di Luanda
La Namibia incrementa gli sforzi contro la pesca illegale dall’Angola
29 Novembre 2023
Articolo di Redazione
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La Namibia sta incrementando gli sforzi per contrastare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN) lungo il confine delle sue acque territoriali con l’Angola a fronte dell’«allarmante aumento» di incidenti potenzialmente connessi a questa pratica nella regione. A renderlo noto è stato il ministro per la pesca di Windhoek Derek Klazen, secondo cui gli avvenimenti che preoccupano il governo vedono anche il coinvolgimento di attori stranieri.

Secondo quanto riferito nei mesi scorsi dalla Confederazione delle associazioni di pesca della Namibia (CNFA), l’industria del paese perde ogni anno circa 1,5 miliardi di dollari namibiani, poco più di 91,5 milioni di euro, a causa della pesca illegale non dichiarata e non regolamentata, nota appunto con l’acronimo Inn, o IUU in lingua inglese.

Sempre secondo la CNFA, vascelli stranieri con licenze approvate molto probabilmente in Angola pescherebbero ogni anno in modo non regolare nella acque namibiane migliaia di tonnellate di pesce.

Klazen, stando a quanto riportato dalla stampa locale, si è detto molto preoccupato dal saccheggio delle risorse ittiche namibiane che sarebbe in corso. Da qui la decisione di destinare al controllo del confine settentrionale con l’Angola il 50% di tutte le operazioni marittime di monitoraggio e sorveglianza effettuate dalle autorità namibiane. Il ministro ha aggiunto di voler «coinvolgere le controparti dei paesi vicini in un processo di armonizzazione» con le leggi del paese e nella loro «applicazione».

Gli esempi di cooperazione 

Il tema della pesca illegale è da anni al centro di tensioni ma anche di tentativi di collaborazione fra Namibia e Angola. Nel 2016 i due paesi hanno firmato un’intesa per la cooperazione nel settore della pesca e anche nel contrasto delle pratiche non legali e regolamentate.

Nei mesi scorsi i due paesi e il Sudafrica hanno aderito a una partnership per la collaborazione nella lotta contro le attività ittiche non legali istituito dalla Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (SADC).

Angola, Namibia e Sudafrica fanno inoltre parte dell’iniziativa intergovernativa nota come Benguela Current Commission (BCC). Nato nel 2007, questo ente mira a convogliare gli sforzi per la protezione dell’ecosistema marino della Corrente di Benguela e si concentra, fra le altre cose, anche sulla gestione condivisa degli stock ittici della regione.

Nonostante questi esempi di cooperazione però, il tema della pesca Inn al confine torna ciclicamente nel dibattito pubblico namibiano. Windhoek accusa Luanda di coprire, o nel peggiore dei casi di partecipare attivamente con suoi mezzi, agli sconfinamenti e alla pesca non autorizzata in acque namibiane da parte di vascelli in possesso di licenze autorizzate a Luanda. Una volta individuati dalla marina namibiana, questi mezzi riparerebbero nelle acque territoriali del paese vicino.

Un fenomeno globale

La Namibia dispone di circa 1.500 chilometri di coste. Il problema della pesca illegale la riguarda nella misura in cui riguarda tutto il mondo e in modo particolare i paesi costieri dell’Africa.

Secondo la ong con sede nel continente Stop Illegal Fishing un pesce su quattro fra quelli pescati al largo delle coste africane è ottenuto illegalmente. Un report della Financial Transparency Coalition (FTC) ha stimato in 11,5 miliardi di dollari le perdite annuali causate dalla pesca inn in Africa. Nel continente si concentrerebbero circa un quarto di tutte le perdite.

Il fenomeno è a deciso traino cinese: il 33% delle navi che conduce questa pratica battono bandiera cinese mentre otto delle dieci principali società che animano questo business illegali hanno sede nel paese asiatico. Un altro grande problema è rappresentato dalle imbarcazioni che si registrano presso paesi molto più laschi nell’imporre il rispetto delle regole internazionali e della trasparenza, battendo così le cosiddette “bandiere di comodo”.

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