L’export armiero italiano sfiora i 4 miliardi. Ma la Difesa si lamenta delle restrizioni verso i paesi del Golfo - Nigrizia
Armi e Disarmo Conflitti e Terrorismo
Relazione governativa sull’import ed export di armi
L’export armiero italiano sfiora i 4 miliardi. Ma la Difesa si lamenta delle restrizioni verso i paesi del Golfo
L’Egitto si conferma il primo paese con oltre 900 milioni di euro. Il documento della Presidenza del Consiglio certifica una frenata rispetto agli ultimi anni. Nordafrica e Medioriente restano le aree privilegiate. Transazioni bancarie oltre i 7 miliardi e mezzo. Unicredit e Intesa le prime due in classifica. Boom di Sace. E compare in lista anche il Credito cooperativo di Barlassina
28 Aprile 2021
Articolo di Gianni Ballarini
Tempo di lettura 6 minuti
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Al ministero della difesa si stracciano le vesti. Evidentemente non gli basta aver venduto le due fregate Fremm per 900 milioni di euro a un paese balordo in fatto di rispetto dei diritti umani, come è l’Egitto del faraone al-Sisi. A Palazzo Baracchini non hanno digerito lo stop del governo Conte alla vendita delle bombe Rwm all’Arabia Saudita.

E lo scrivono espressamente nell’annuale Relazione della presidenza del Consiglio sull’import ed export di armi: «Il dicastero della difesa, in conclusione, rimarca come le recenti restrizioni imposte alle esportazioni verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, avendo suscitato perplessità presso le autorità locali, possano configurare un potenziale rischio di natura economica per tutto il volume dell’export nazionale generalista verso i citati paesi».

Per le nostre “stellette”, guidate dal ministro piddino Guerini, è stata una decisione tossica quella di Conte. Ne soffrirà la nostra economia, bellica in particolare.

Un dettaglio trascurabile, per loro, il rispetto delle leggi, come la 185 del 1990: solo propaganda pacifista. Il mondo che sognano dovrebbe essere un grande parco giochi per le nostre industrie di guerra. Un Bengodi scoppiettante.

Una frenata

L’ultima Relazione, in realtà, segna una frenata per quanto riguarda il valore delle autorizzazioni individuali all’esportazioni, passato dai 4,085 miliardi del 2019 ai 3,9 miliardi del 2020 (-3,86%). Una fase calante iniziata a partire dal 2016, anno in cui il valore delle autorizzazioni aveva superato i 14,5 miliardi di euro.

Una flessione in parte compensata dall’ incremento per le autorizzazioni globali di trasferimento (+177% rispetto al 2019). Si tratta dei trasferimenti di materiali di armamento da effettuare nel quadro di programmi congiunti intergovernativi con società di paesi membri dell’Unione europea o della Nato.

Il totale del valore delle esportazioni, inclusa la voce “intermediazioni” (calata bruscamente da 457 milioni a 54 milioni), è sceso del 10% rispetto al 2019, arrivando a 4,6 miliardi di euro.

Ha registrato un moderato calo anche il numero delle autorizzazioni individuali di esportazioni, passate dalle 2.186 del 2019 alle 2.054 dell’anno scorso.

 

 

La Relazione spiega che la contrazione complessiva «è essenzialmente dovuta al rilevante decremento nelle aree dell’America centro-meridionale e dell’Oceania».

Mentre si confermano come prime aree di export il Nordafrica e il Medioriente con il 38,57% del valore esportato, pari a un miliardo e mezzo di euro.

A pesare sono state certamente le due navi Fremm vendute (sottocosto) a 900 milioni di euro al Cairo. Ma rilevanti le vendite anche al Qatar (212,2 milioni di euro), all’Arabia Saudita (144,4) e agli Emirati Arabi Uniti (117,6).

Da segnalare anche il dato della Libia alla quale abbiamo venduto armamenti per quasi 6 milioni di euro. Probabilmente ci sarà stata qualche deroga rispetto al blocco imposto da Onu e Ue. In linea teorica avremmo potuto consegnare solo materiale non letale destinato al governo di Tripoli.

Il dato politico rilevante, comunque, è che per il quinto anno consecutivo la maggior parte degli armamenti e sistemi militari italiani è finita nella zona di maggior tensione del mondo.

 

L’Africa subsahariana pesa per lo 0,92%. Da menzionare il dato del Senegal che compare al primo posto con quasi 27 milioni di euro di materiale militare ricevuto.

In classifica anche il Ciad, al secondo posto con 5,1 milioni di euro, e il Mali con quasi un milione di euro. Paesi al centro dell’attenzione politica e militare italiana nella lotta al terrorismo.

Nessun paese, come nel 2019, è risultato destinatario di autorizzazioni per un valore complessivo superiore al miliardo di euro.

Si conferma, poi, anche un altro dato: la percentuale più alta di trasferimenti è avvenuta in paesi extra Ue/Nato (56,1%). Percentuale, tuttavia, in calo rispetto agli ultimi anni.

 

 

Sono i programmi aeronautici a far registrare i valori più elevati, anche per i maggiori costi per la componentistica rispetto ad altri settori.

Secondo la Relazione le prime 15 società esportatrici hanno un peso del 91,48% sul totale del valore esportato. I primi 4 operatori del settore sono Leonardo (31,58%), Fincantieri (25,27%), Iveco defence vehicles (8,66%) e Calzoni (5,81%). Da soli rappresentano circa il 71% del valore monetario degli scambi. Scompare dalle prime 15, Rwm Italia.

 

 

 

Banche e il peso dello stato

Sappiamo come da anni siano in corso cambiamenti nel mondo finanziario italiano, allergico a ideologie che non producano denaro e utili. Per le banche rimane strategico mungere la munifica industria bellica. Se n’è accorto anche lo Stato che ha deciso di entrare, indirettamente, a piene mani in questo mercato. Una novità rilevante che emerge dalla Relazione, infatti, è la presenza al 4° posto in classifica tra gli istituti di credito e finanziari che hanno sostenuto il mondo industriale bellico nel 2020 di Sace fct.

È la società di factoring di Sace, il gruppo assicurativo rientrato sotto l’ombrello del ministero dell’economia dopo essere stato ceduto a Cassa Depositi e Prestiti. Il volume complessivo delle transazioni oggetto di sue segnalazioni ha superato i 500 milioni di euro. Valore che non si ricava più estrapolando i dati dalla classica tabella che fotografa l’esportazione definitiva per gli istituti di credito.

Perché la grande novità di quest’anno, è che il Mef ha deciso che «le concessioni e i rinnovi di finanziamenti e garanzie per operazioni soggette alla disciplina della legge 185/1990, rivelatisi, in qualche caso, di importo considerevole e gestiti anche in “pool”, sono stati enucleati dagli importi accessori delle varie tabelle per trovare una autonoma collocazione ed individuazione in una tabella a parte. Questo dovrebbe permettere idealmente di fornire un quadro più preciso e fedele dell’effettiva operatività di ogni singolo intermediario del settore. In precedenza era stato, infatti, riscontrato che la presenza di operazioni di finanziamento gestite in pool tra più banche, ma segnalate solo dalla banca “capofila” per l’intero importo, e la gestione delle garanzie con periodicità infrannuale producevano un effetto distorsivo sui totali degli “Importi Accessori” esposti in tabella e inducevano pertanto a una rappresentazione della situazione non corrispondente alla realtà dei fatti»

Nella pratica oltre ai dati prodotti nella tradizionale tabella

 

c’è da considerare così quelli prodotti nella tabella intitolata Finanziamenti-Garanzie per istituti di credito

Il volume complessivo delle transazioni oggetto di segnalazione è diminuito rispetto all’anno precedente (7,8 miliardi di euro a fronte dei 10,3 del 2019).

Nel 2020, oltre il 70% delle transazioni per introiti riferibili alle esportazioni definitive è stato negoziato da 3 istituti di credito. Con Intesa Sanpaolo che ha scalzato dalla seconda posizione Deutsche bank.

Nel medesimo anno, oltre l’85% dell’ammontare complessivo delle esportazioni definitive si è diretto verso il Medioriente, paesi dell’Ocse e Asia.

Curiosità: per la prima volta in classifica compare la Banca di credito cooperativo di Barlassino scrl. Si tratta dell’ex cassa rurale nata per lo sviluppo economico e sociale della “Brianza di mezzo”, tra Como e Milano.

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