Migranti, l’Italia in alto mare - Nigrizia
Migrazioni Politica e Società
Interviene il responsabile immigrazione dell’Arci
Migranti, l’Italia in alto mare
Alimentando l’allarme e la retorica dell’invasione, il governo continua a rimandare interventi strutturali ed efficaci, producendo l’emergenza. Per uscire dalla crisi serve un Tavolo di coordinamento che porti a una programmazione degli interventi umanitari e a un piano per l’integrazione
14 Maggio 2021
Articolo di Filippo Miraglia
Tempo di lettura 5 minuti
migranti
(Credit: eunews.it)

Le dichiarazioni in parlamento del presidente del Consiglio Mario Draghi a proposito dell’immigrazione lasciano ancora una volta l’amaro in bocca. Il presidente europeista ci ripropone la stessa ricetta contenuta nella proposta di Patto europeo su immigrazione e asilo presentata dalla Commissione europea: rimpatri, controlli, esternalizzazione delle frontiere e una spruzzata, poco convinta, di “parole umanitarie”.

Draghi ha fatto un passaggio che è stato male accolto (come poteva essere diversamente?) dalle destre xenofobe: «nessuno verrà mai lasciato solo nelle nostre acque territoriali». Ma è davvero così “umanitaria” questa affermazione? È noto che le acque territoriali arrivano a 12 miglia marittime dalla costa.

L’affermazione di Draghi ha dunque il sapore della mistificazione: se uno rischia di morire a 13 miglia o addirittura a 50 miglia dalle nostre coste che facciamo, lo lasciamo morire? O chiamiamo, come abbiamo fatto finora, la cosiddetta guardia costiera libica?

Nessun riferimento alla necessità di organizzare un programma di ricerca e salvataggio pubblico, se possibile europeo, come chiede da anni l’Unhcr e come chiedono le associazioni in tutte le sedi.

C’è poi il solito richiamo all’assunzione di responsabilità da parte della Ue, a cui non crede più nessuno. Una manifestazione di vittimismo per sottolineare che l’Ue ci lascia soli di fronte ad arrivi ingestibili.

È bene precisare che le persone che arrivano sul territorio europeo e di cui i paesi si fanno carico, sono soltanto quelle che chiedono asilo e non gli irregolari, come qualcuno pensa. Questi ultimi possono essere, e in gran parte lo sono, totalmente estranei al diritto d’asilo e non hanno alcun diritto all’accoglienza.

Tra il 2019 e il 2020 la media di domande d’asilo (quindi delle persone che hanno diritto all’accoglienza) in percentuale alla popolazione nell’Ue è stata rispettivamente dello 0,13 % e dello 0,1%. Parliamo di una percentuale bassissima considerato che, secondo i dati Unhcr, le persone costrette a lasciare le loro case nel mondo sono più di 80 milioni. L’Italia, in questo quadro generale in cui i numeri dell’accoglienza nell’Ue sono già bassi, accoglie molto meno della media europea, cioè 0,07% nel 2019 e 0,04% nel 2020.

Basandoci sui dati Eurostat, cioè sui dati forniti dai governi alla Commissione, abbiamo calcolato che negli ultimi 5 anni (2017 – 2020, totale delle domande d’asilo nell’Ue 3,7 milioni circa) se l’Italia, che ha accolto 382 mila persone, avesse dovuto accogliere un numero di richiedenti asilo proporzionale alla popolazione, avremmo dovuto dare ospitalità a quasi 100 mila persone in più.

Siamo noi che avremmo dovuto aiutare gli altri paesi, se ci fosse stata un’equa ripartizione e se fosse valso quel principio di solidarietà che spesso utilizzano politici e commentatori. Germania, Malta, Francia, Spagna, Grecia, Svezia e non solo, fanno molto più di noi.

Ma il nostro governo lancia richieste d’aiuto, alimentando l’allarme e la retorica dell’invasione, e continua a rimandare interventi strutturali ed efficaci, producendo l’emergenza.

Abbiamo scritto come Arci alla ministra dell’Interno quando abbiamo letto di una cabina di regia interministeriale per affrontare una presunta emergenza. Il D.Lgs. 142/2015, all’art.16 prevede un tavolo di coordinamento con tutti i ministeri interessati, Anci e Conferenza delle regioni, al quale anche le associazioni del Tavolo asilo e immigrazione sono invitate, che dovrebbe provvedere ogni anno alla programmazione e al piano integrazione.

Purtroppo, questo tavolo non si riunisce da tanto e la programmazione non è nell’orizzonte di questo governo che produce continue cabine di regia a scopo mediatico, lasciando i problemi irrisolti.

Le persone che arrivano a Lampedusa andrebbero semplicemente trasferite altrove immediatamente, senza obbligarle a vivere in condizioni degradanti, alimentandone una rappresentazione distorta.

Nonostante i numeri siano molto bassi, come abbiamo spiegato, lasciare per giorni centinaia o migliaia di persone a dormire all’aperto per terra, consolida l’idea, che fa comodo alla propaganda di qualcuno, che i migranti siano troppi e ingestibili.

La nostra richiesta si basa su una esperienza pluriennale di fallimenti annunciati ed emergenze inventate.

Se il governo approntasse con urgenza un sistema di trasferimenti da Lampedusa e dalla Sicilia in tutto il paese e un piano di ripartizione adeguato ai numeri che potrebbero presentarsi la prossima estate, eviteremmo queste situazioni scandalose che tanto piacciono ai razzisti di professione.

Tutti sanno che nei mesi estivi potrebbero arrivare alcune decine di migliaia di persone. Oggi in Italia sono ospitate poco più di 80mila persone, in aumento nelle ultime settimane. Ma l’Italia ha accolto, in passato, anche 190mila persone ed è quindi in grado di aumentare molto la sua capacità d’accoglienza, senza trasformarla in una emergenza.

Il punto è se il governo intende farlo con una programmazione adeguata, coinvolgendo tutti i soggetti e quindi nel rispetto della dignità delle persone, delle esigenze dei territori, e con soggetti competenti, oppure se, come è già successo negli ultimi anni, vuole produrre un’altra emergenza, farla cavalcare ai Salvini e alle Meloni di turno, investire il territorio, le comunità locali, con soluzioni imposte e non concordate.

Sarebbe auspicabile cominciare da subito con il trasferire i posti gestiti dalle prefetture (i Cas) nel sistema Sai (ex Sprar) dei comuni e programmare un allargamento di questi ultimi in modo da far fronte agli eventuali arrivi dei prossimi mesi.

La programmazione, oltre a essere giusta e a rendere gli interventi efficaci, consente di risparmiare risorse e di rispettare le esigenze di comuni e regioni, coinvolgendo i servizi pubblici già operanti. Anche controlli e quarantene distribuite sul territorio con piccoli numeri hanno costi inferiori e sono più gestibili.

Perché insistere nell’inventare emergenze e alimentare rappresentazioni distorte e strumentalizzabili?

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