Il monito dell'Africa sul Piano Mattei: ora servono i fatti - Nigrizia
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Al Senato le parole del presidente della Commissione Ua, Faki Mahamat: «Basta promesse, e sulle alleanze siamo liberi»
Il monito dell’Africa sul Piano Mattei: ora servono i fatti
Alla conferenza Italia-Africa Meloni annuncia i fondi a disposizione del piano: 5,5 miliardi di euro, da cui 2,5 dalle risorse della cooperazione allo sviluppo
29 Gennaio 2024
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 6 minuti
Dal profilo X di Palazzo Chigi

L’Africa vuole che alle promesse seguano i fatti. E che venga riconosciuto il suo diritto a costituire liberamente alleanze e partnership, senza obblighi di allinearsi a “blocchi unici” di sorta. Due principi che sembrano anche i due presupposti dell’adesione del continente al Piano Mattei, il protagonista assoluto della conferenza Italia-Africa che si è svolta oggi in Senato, a Roma.

A delineare i punti di partenza della partecipazione africana all’iniziativa è stato Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione Africana (UA).  Insieme a lui oggi a Roma, fra gli altri, i vertici del governo italiano, a partire dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni, il leader di turno dell’UA, il presidente delle Comore Azali Assoumani, appena rieletto, 25 fra capi di stato e di governo dell’Africa, le massime cariche delle tre principali istituzioni dell’Unione Europea.

Ma anche i dirigenti di almeno 12 società partecipate dallo stato, da ENI a ENEL fino a Cassa depositi e prestiti (CDP). Assente la stragrande maggioranza delle ong che animano la nostra cooperazione allo sviluppo, ma su questo punto si tornerà più avanti.

Le affermazioni di Faki Mahamat sono state precedute da una serie di annunci di Meloni, che dopo mesi di attese, indiscrezioni e accenni, ha fornito oggi alcune coordinate di base del Piano di cui fino a ora si conosceva solamente la struttura, imperniata attorno a una cabina di regia coordinata proprio  dalla presidenza del Consiglio.

I fondi 

Innanzitutto le cifre. L’iniziativa del governo italiano, quadriennale, potrà disporre di «una dotazione iniziale di 5,5 miliardi euro fra crediti, operazioni a doni e garanzie, di cui tre miliardi dal Fondo italiano per il clima e 2,5 da risorse della cooperazione sviluppo». La presidente del consiglio rende noto inoltre la prossima istituzione insieme a Cdp, «entro il nuovo anno, di un nuovo strumento finanziario per agevolare investimenti privati nell’ambito del Piano».

L’iniziativa mira a istituire un partnership con l’Africa «non predatoria e non paternalistica»  e si concentra su cinque diversi settori: istruzione e formazione, agricoltura, salute, energia e acqua. Fra le sue priorità c’è anche quella di frenare i flussi migratori illegali rivolti verso l’Italia e verso tutto l’Europa.

Meloni svela per la prima volta anche alcuni dei progetti che dovrebbero partire nel contesto del Piano. Si va dal sostegno alla filiera del biocarburante in Kenya alla creazione di pozzi e reti di distribuzione dell’acqua a fini agricoli alimentate a energia rinnovabile in Congo-Brazzaville.

Promesse, appunto, a cui devono seguire fatti. Lo riafferma chiaramente Faki Mahamat, che  nel corso del suo intervento spiega che l’Unione Africana «avrebbe preferito essere consultata» durante la fase di realizzazione del programma.

Il presidente della Commissione ribadisce che i principi che guidano l’Ua nella partnership del Piano Mattei e di qualsiasi altra iniziativa simile sono «la libertà di scegliere gli alleati liberamente, senza doversi allineare a un blocco rispetto a un altro, senza imporre nulla e senza che nulla sia imposto a noi». Ma anche quello del «vantaggio reciproco». Con la consapevolezza che il peso specifico dell’Africa è sostanziato da «trenta milioni di chilometri quadrati di estensione, quattro miliardi di abitanti, risorse naturali enormi».

Gli appelli della cooperazione 

Gli attori politici africani non sono gli unici a non essere stati consultati durante il lavoro di stesura del piano, come riferisce a Nigrizia Francesco Petrelli, esponente dell’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI) che rappresenta centinaia di ong e una porzione significativa del mondo della cooperazione allo sviluppo italiano.

«Siamo stati tenuti fuori da qualsiasi processo di consultazione o preparatorio di questo processo – denuncia il dirigente – . Quindi chi è presente da anni in Africa e ha una esperienza diretta con centinaia di realtà locali non è stato invitato nemmeno per ascoltare. Non è un buon inizio per una cooperazione che deve prevedere una “approccio di sistema”».

Altro nodo critico quello degli stanziamenti annunciati oggi da Meloni, a cui devono ancora seguire documenti ufficiali che li confermino o che ne spieghino nel dettaglio la natura. «Se come sembra, 2,5 miliardi vengono da fondi della cooperazione, stiamo assistendo a un gioco delle tre carte – osserva il rappresentate delle ong – l’aiuto pubblico allo sviluppo è fermo allo 0,32% del Reddito nazionale lordo (Rnl) e questo tipo di intervento non lo accresce né ne modifica minimamente la struttura».

Utile ricordare che l’Italia si è impegnata a livello europeo e internazionale a destinare all’aiuto pubblico allo sviluppo risorse pari allo 0,70% del rnl. Per spingere le autorità del nostro paese a rispettare questo intento diversi attori della cooperazione portano avanti da anni l’iniziativa Campagna070.

Il ruolo dell’UE 

Di buono, conclude Perelli, «c’è stata la presenza in Senato dei vertici dell’UE. Ma questo da solo non basta, senza Bruxelles gli sforzi dell’Italia non hanno una direzione concreta. L’ambizione dovrebbe essere quella di influenzare una ristrutturazione delle politiche di sviluppo dell’UE, a partire dal Global Gateway, in cui confluiscono decine e decine di miliardi di euro».

La cifra esatta in relazione all’Africa la fornisce in Senato la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen: «150 miliardi di euro fino al 2027», per la strategia inaugurata dall’UE nel 2021 anche nell’ottica di contrastare l’espansione della Cina e  gli investimenti della Nuova via della seta.

Il programma  europeo si concentra nei settori del digitale, dell’energia e dei trasporti e punta a rafforzare settori chiave dei paesi partner a partire da sanità, istruzione e ricerca. Il piano europeo e l’iniziativa italiana sono «complementari», secondo la presidente della Commissione.

La questione immigrazione 

Così come è condivisa la volontà di «mettere fine al traffico illegale di migranti», il cui contrasto è una delle direttrici chiave del programma promosso da Roma.  Rispetto a questo Von der Leyen mette l’accento sulla necessità di creare «alternative legali alle rotte letali» che portano in Europa e lungo cui ogni anno perdono la vita centinaia di persone. Oltre 970 solo nel Mediterraneo centrale e solo nel 2023.

Il tema lo affronta anche Faki Mahamat. E anche in questo caso la prospettiva africana si dimostra più radicale, e forse ambiziosa, di quella europea. «I flussi migratori illegali sono un fenomeno tragico e ricorrente  la fuga di forza lavoro pregiudica la nostra dignità – scandisce il presidente della Commissione – Su queste problematiche la partnership sarà sempre limitata fino a che non si cambierà modello di sviluppo a livello strutturale. Esiste una sola strategia valida: creare prosperità dove ora c’è la povertà».

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