Le ong avvertono: dal "Piano Mattei" poche prospettive - Nigrizia
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Intervista a Silvia Stilli, presidente di AOI. «Per adesso non ci sono fondi e la cabina di regia è mal calibrata»
Le ong avvertono: dal “Piano Mattei” poche prospettive
Il rischio, per la rappresentante di oltre 300 organizzazioni, è che si perdano di vista le prospettive di una cooperazione «decolonizzata ed efficace»
11 Gennaio 2024
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 5 minuti

Il cosiddetto Piano Mattei non dispone ancora di fondi e non sembra voler coinvolgere seriamente tutti gli interlocutori africani. Gli elementi già noti dell’iniziativa, che in realtà non sono molti, sono relativi alla governance e già si mostrano critici, a partire dalla rappresentanza garantita alla cooperazione allo sviluppo, che rischia di essere mal centrata e parziale. L’analisi viene affidata a Nigrizia da Silvia Stilli, presidente dell’Associazione delle Organizzazioni Italiane di Cooperazione e Solidarietà Internazionale (AOI). Una sigla che rappresenta circa 300 realtà italiane che collaborano con l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS), circa 700 nel suo complesso.

L’intervista si svolge mentre il decreto-legge che contiene le disposizioni relative al Piano Mattei per lo sviluppo in Stati dell’Africa, questa la dicitura completa dell’iniziativa, è in via di approvazione alla Camera. Il via libera è alla fine arrivato ieri, con 169 voti favorevoli, 119 contrari e tre astenuti. Il testo, che era già passato al senato nei mesi scorsi, è quindi legge. 

Stando a quanto reso noto dallo stesso governo, l’iniziativa ha durata quadriennale e mira a «potenziare le iniziative di collaborazione tra Italia e Stati del Continente africano, promuovere uno sviluppo economico e sociale sostenibile e duraturo di questi ultimi e prevenire le cause profonde delle migrazioni irregolari». La piattaforma vuole anche «rafforzare il coordinamento delle iniziative pubbliche e private» rivolte ai paesi dell’Africa.

La cabina di regia 

Nel decreto sono esplicitati solo i settori di intervento e la struttura della sua governance. I dettagli del progetto dovrebbero essere presentati in occasione della Conferenza con l’Africa, inizialmente prevista per ottobre ma poi rinviata a fine gennaio a causa dello scoppio del conflitto in Medio Oriente. 

Se i campi di applicazione del piano dovrebbero essere innumerevoli –cooperazione allo sviluppo, promozione delle esportazione degli investimenti, salute e agricoltura e sicurezza alimentare, fra gli altri – a coordinare l’iniziativa sarà una cabina di regia presieduta dalla presidente del Consiglio. Il ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale svolgerà le funzioni di vice presidente mentre saranno presenti anche altri tre ministri, il direttore dell’AICS, il presidente dell’Agenzia italiana per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (ICE) e i rappresentanti di Cassa depositi e prestiti, Sace e Simest.

Stilli, un’esperienza trentennale nel mondo della cooperazione, prima come cooperante e poi come dirigente, premette che AOI «non è contraria all’idea che ci sia un coordinamento di tipo politico-istituzionale che fa capo a Palazzo Chigi e che mette a sistema tutti gli interventi in Africa». Quanto annunciato finora dal governo però, prosegue Stilli, «è un contenitore che non dispone di un budget e che non presenta una scala di priorità per quanto riguarda gli impegni effettivi». Le uniche cifre contenute nel Piano sono quelle relativa ai fondi disponibili per la cosiddetta Struttura di missione, circa 2,5 milioni di euro per due anni, a cui si aggiungono circa 500mila euro di rimborsi per spese di missione. Far le funzioni di questa componente del piano, «aiutare nell’indirizzo e coordinamento dell’azione strategica del Governo» con riguardo all’iniziativa.

Verso quale partenariato con l’Africa? 

La debolezza che emerge dal Piano si riflette in una fragilità che è sia concettuale che concreta. «Non è chiaro se questa iniziativa- denuncia Stilli- vuole passare a un coinvolgimento diretto e chiaro delle comunità con cui cooperiamo sul campo in Africa, che noi ci auspichiamo fortemente». L’ottica infatti, dovrebbe essere quella di «portare avanti una decolonizzazione dell’aiuto che ci permette di instaurare partnership veramente efficaci e accordate sulle necessità della popolazione, e non solo delle classi politiche dei paesi africani».

Diverse realtà sostengono che in realtà dar vita a un rapporto paritario e «non predatorio» con i paesi africani non sia una delle priorità del progetto del governo, come invece dichiarato dalla primo ministro Giorgia Meloni più volte, a partire da una visita in Algeria nel 2022. Lo scopo del Piano sarebbe piuttosto  solo quello di garantire la sicurezza energetica dell’Italia e di contenere i flussi migratori, con un’attenzione più che parziale alle necessità reali dei nostri paesi partner. 

Tornando ai fondi, prosegue la dirigente, «da una serie di recenti dichiarazioni del governo, si inizia a capire che la piattaforma pensata per l’Africa potrebbe essere finanziata con parte del budget già destinato all’aiuto pubblico allo sviluppo per il 2024 e con le risorse contenute nel Fondo per il clima, e non con fondi aggiuntivi, come invece dovrebbe essere secondo noi».

Il ruolo di Aics

Come detto, la cabina di regia prevede la presenza del direttore dell’AICS. Il posizionamento dell’agenzia deve essere definito con molta più chiarezza però, suggerisce Stilli. «Dall’attuale configurazione – evidenzia la presidente – si capisce che l’AICS ha un ruolo paritetico a quello di altri enti, ma non può essere così, se l’obiettivo primario del piano è la cooperazione allo sviluppo. Come stabilito dalla legge quadro 125 del 2014 infatti, l’agenzia è il soggetto prioritario di questo ambito». 

Così com’è inoltre, la cabina di regia, continua la dirigente, «rischia di essere un sostanziale duplicato del Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo», organo composto dai principali soggetti pubblici e privati del comparto, «tagliandone fuori però alcune componenti fondamentali, come la società civile», che nel coordinamento messo a punto dal governo avrà una rappresentanza ancora non specificata nei numeri e nelle modalità di selezione. Imprescindibile quindi, «far confluire all’interno del piano tutte le sensibilità che si confrontano in sede di Consiglio».

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