Mons. Bettazzi, voce libera che ha dato un senso alla nonviolenza
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È morto l’ultimo testimone del Concilio Vaticano II
Mons. Bettazzi, la voce libera che ha dato un senso alla nonviolenza
È conosciuto per il suo impegno inesauribile per la pace. È riuscito a coniugare la riflessione teologica e la pratica pastorale con l'impegno sociale rivelandosi all’interno dell’episcopato italiano una voce fuori dal coro
17 Luglio 2023
Articolo di Giuseppe Cavallini
Tempo di lettura 5 minuti

A pochi mesi dal traguardo dei cento anni, che avrebbe compiuto a novembre, è morto monsignor Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea per 33 anni.

Nato a Treviso, ma trasferitosi da giovane a Bologna, mons. Bettazzi divenne sacerdote il 4 agosto 1946, nominato vescovo ausiliare il 10 agosto 1963 e ordinato vescovo in novembre. Era da poco iniziato il Concilio Vaticano II, cui prese parte come assistente del cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna.

Dopo il Concilio venne nominato vescovo di Ivrea, dove avrebbe iniziato il suo ministero all’inizio del 1967.

Ultimo vescovo italiano vivente presente al Concilio, fino all’ultimo Bettazzi è stato strenuo difensore della pace e della nonviolenza attiva. Convinto assertore – contrariamente a quanto si sta vivendo anche nel nostro tempo – che la strada della pace non può essere la guerra, ma l’azione non violenta.  Finché le forze lo hanno sostenuto è stato infatti, come altri grandi figure prima di lui (Ernesto Balducci, padre Turoldo, don Tonino Bello, che lo sostituì come presidente di Pax Christi Italia quando egli fu scelto come presidente internazionale della stesso movimento) testimone credibile di nonviolenza, accogliendo senza sosta centinaia di inviti in tutta Italia e all’estero per sensibilizzare persone d’ogni età sui temi della pace.

I suoi innumerevoli interventi

A Nigrizia ricordiamo ancora le sue pur brevi visite per interventi sulla pace, quando ci rallegrava col suo carattere gioviale e con l’arguzia e le battute di spirito di cui spesso si serviva, rendendo il nostro dialogo al tempo stesso profondo e piacevole. Molti sono coloro che ricordano le forti parole contro la guerra pronunciate in occasione della grande manifestazione dei Beati i Costruttori di Pace in Arena, nelle manifestazioni svoltesi nell’anfiteatro veronese a partire dagli anni ottanta. Partecipò pure all’Arena di pace del 2014.

Mons. Bettazzi citava spesso con energia il Vaticano II nei suoi interventi: «Già nel Concilio Vaticano II s’era proposto il principio che il vangelo, in realtà, condanna ogni guerra – diceva con forza – e se ne erano fatti propugnatori, fra l’altro, proprio due cardinali di Pax Christi: Feltin e Alfrink… Si era giunti peraltro a condannare (l’unica condanna di un concilio “pastorale”) la “guerra totale” (la cosiddetta ABC, cioè guerra atomica, biologica, chimica), di cui cadono vittime per gran parte le popolazioni civili e, nello stesso tempo, il riarmo, che consuma risorse che potrebbero e dovrebbero essere destinate a combattere la fame e le malattie del mondo».  

Con don Tonino, insisteva nel sostenere che «la costruzione della pace comporta per il cristiano che ama la pace, un continuo esercizio di prassi nell’impegno per eliminare i fattori di conflitto, e quindi la denuncia delle ingiustizie e l’apertura all’indispensabile ruolo della comunità internazionale». 

Ha scandalizzato

Il vescovo di Ivrea aveva suscitato le reazioni di vari politici e scandalizzato molti benpensanti anche per le sue battaglie per l’obiezione fiscale alle spese militari, sostenendo, tra l’altro, l’obiezione di coscienza quando ancora si rischiava il carcere. Un momento fondamentale della sua visione profetica fu certamente, come di recente abbiamo scritto di don Tonino Bello, quando nel 1992 partecipò alla marcia pacifista organizzata a Sarajevo dai  “Beati costruttori di pace” e da “Pax Christi”, insieme, appunto, al compianto vescovo di Molfetta e ai 500 coraggiosi che giunsero allora come testimoni di pace nel bel mezzo della guerra civile in Bosnia ed Erzegovina.

La lettera a Berlinguer

Di lui è rimasto famoso anche l’impegno ad avviare un dialogo sul rapporto tra la fede cattolica e l’ideologia marxista, centrato soprattutto sul valore della laicità. A tale riguardo aveva scritto nel 1976 una lettera a Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista, che l’anno successivo gli avrebbe risposto con una lunga riflessione, ringraziandolo per la fiducia dimostrata. Una lettera che suscitò grandi polemiche, in cui il vescovo scriveva tra l’altro: «Le sembrerà forse singolare, tanto più dopo le ripetute dichiarazioni di vescovi italiani, che uno di loro scriva una lettera, sia pure aperta, al segretario di un partito, come il suo, che professa esplicitamente l’ideologia marxista, evidentemente inconciliabile con la fede cristiana. Eppure, mi sembra che anche questa lettera non si discosti dalla comune preoccupazione per un avvenire dell’Italia più cristiano e più umano». Il dialogo tra i due venne poi raccolto in una pubblicazione.

Prigioniero al posto di Moro

Chi era presente allora ricorda anche di un’iniziativa che pure suscitò grande scalpore, allorché nel 1978, assieme ad altri due vescovi, chiese di potersi offrire prigioniero in cambio del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro, rapito dalle Brigate Rosse. Una richiesta, tuttavia, che col disappunto del vescovo venne respinta dalla Curia Romana.

Le Marce della pace

Come già menzionato, anche gli anni della sua età avanzata mons. Bettazzi li spese all’insegna dell’educazione alla nonviolenza, partecipando, tra l’altro, a numerose Marce della pace organizzate in varie località.

Un’esistenza, la sua, nella quale il vescovo ha sempre coniugato la riflessione teologica e la pratica pastorale con l’impegno sociale e, dimostrando senza interruzione e con coerenza all’interno dell’episcopato italiano una voce davvero libera, e spesso scomoda e capace di far riflettere e mettere in crisi, in stile tipicamente evangelico, persone e istituzioni.

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