Sudafrica, Ramaphosa travolto dal Farmgate - Nigrizia
Politica e Società Sudafrica
Il presidente denunciato dall’ex capo dell’intelligence
Sudafrica, Ramaphosa travolto dal Farmgate
Si infittisce la trama dello scandalo che vede protagonista il capo dello stato, accusato di riciclaggio di denaro e di non aver denunciato il furto di 4 milioni di dollari in contanti, sottratti dalla sua casa in campagna
15 Giugno 2022
Articolo di Efrem Tresoldi (da Johannesburg)
Tempo di lettura 4 minuti
Cyril Ramaphosa

Il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa è nei guai. Arthur Fraser, ex direttore generale dell’agenzia per la sicurezza di stato, ha sporto denuncia nei suoi confronti accusandolo di riciclaggio di denaro e di mancata dichiarazione alla polizia del furto di 4 milioni di dollari in contanti, sottratti nel febbraio 2020 dalla sua casa in campagna nella tenuta di Phala Phala, nella provincia settentrionale di Limpopo.

Il presidente è stato anche denunciato per aver torturato i sospetti ladri e per averli pagati (quasi 10mila dollari, secondo Fraser) perché tacessero sulla scomparsa del denaro. Ramaphosa, all’epoca già presidente della nazione, avrebbe infranto la legge antiriciclaggio del 2001 che obbliga la dichiarazione al fisco di transazioni in contanti superiori a 24.999 rand (equivalenti a 1.400 euro!).

Da chi ha ricevuto tutto quel denaro, proventi della vendita di bovini e di selvaggina nella tenuta di Phala Phala, nascosto “sotto il materasso e il divano”?  E perché la transazione è stata fatta in contanti e in valuta straniera? Finora le spiegazioni fornite dallo stesso presidente non hanno convinto.

In parlamento alcuni giorni fa ha cercato di minimizzare l’evento dicendo che non si è trattato di 4 milioni di dollari ma di molto meno (senza rivelare però quale fosse l’importo ricevuto) e che mai ha approfittato delle tasse dei contribuenti, con un implicito riferimento alle accuse mossegli di evasione fiscale.

Lo scandalo di Phala Phala, definito dai media Farmgate, ha suscitato forti critiche da parte dei partiti di opposizione. Julius Malema, leader del partito dei Combattenti per la libertà economica (Eff), ha subito chiesto le dimissioni di Ramaphosa sostenendo che «la polizia non potrà indagare un presidente mentre è in carica ed è accusato di aver violato la legge per evitare la giustizia».

Bantu Holomisa a capo del partito Movimento democratico unito (Udm) ha sollecitato un’inchiesta parlamentare durante la quale il presidente dovrà temporaneamente lasciare il suo incarico.

Il partito Movimento di trasformazione africana (Atm) si è rivolto al pubblico protettore (Busisiwe Mkhwebane, che guarda caso è stata sollevata dall’incarico pochi giorni fa dallo stesso presidente sudafricano) con la richiesta di aprire una investigazione sullo scandalo di Phala Phala.   

Pressioni per le dimissioni non provengono soltanto dal campo nemico. «La regola del “passo indietro” (approvata e fortemente voluta dallo stesso Ramaphosa per politici affiliati all’African National Congress sotto inchiesta per reati penali) vale anche per il presidente della nazione», è stata la reazione immediata di Ace Magashule, ex segretario dell’Anc, che fu costretto lo scorso anno a dimettersi dopo essere stato accusato di corruzione, frode e riciclaggio di denaro.

Tony Yengeni, membro dell’esecutivo nazionale dell’Anc e sostenitore dell’ex presidente Jacob Zuma, ha chiesto a Ramaphosa di comparire davanti al comitato etico del parlamento e di abbandonare temporaneamente il suo incarico per permettere alle indagini di procedere senza interferenze.

In campo ecclesiale si è fatto sentire Thabo Makgoba, arcivescovo anglicano di Città del Capo e primate della stessa Chiesa in Africa australe, che ha sollecitato il presidente a spiegare ai cittadini quanto è accaduto. «È doveroso da parte sua – ha dichiarato l’arcivescovo – dare risposte rapide e chiare al pubblico per spiegare se possedeva valuta straniera in violazione dei regolamenti della Reserve Bank e se ha mancato di pagare le tasse sulle vendite nella sua fattoria».

Ramaphosa da alcuni giorni non fa più dichiarazioni, mentre il portavoce dell’Anc ha comunicato che il presidente non ha intenzione di lasciare il suo incarico perché non ha ricevuto alcuna denuncia penale e che, in ossequio alle norme del partito, non è tenuto a fare un passo indietro fino a quando dovrà apparire in tribunale per rispondere della denuncia di gravi reati penali».

È singolare che la querela di Arthur Fraser, l’ex capo dei servizi di spionaggio che incastra il presidente sudafricano sul Farmgate, sia arrivata solo alcune settimane prima della pubblicazione del rapporto della Commissione di inchiesta Zondo sulla “rapina di stato” effettuata dai fratelli Gupta (due dei quali sono stati arrestati il 6 giugno negli Emirati Arabi Uniti), in cui emergono dati su spese esorbitanti da parte di Fraser quando era a capo dell’agenzia per la sicurezza dello stato e accuse di corruzione e frode.

Fraser, incaricato dell’agenzia dal 2016 al 2018 dall’ex presidente Jacob Zuma, fu in seguito nominato commissario dei servizi penitenziari e correzionali. Ma nel settembre scorso è stato rimosso dall’incarico dopo aver concesso la controversa scarcerazione di Zuma per motivi di salute.

In politica la tempistica conta e l’attacco di Fraser a Ramaphosa è stato fatto a pochi mesi di distanza dalla assemblea elettiva dell’Anc, mentre sta crescendo la campagna per impedire al presidente in carica di essere rieletto alla guida del partito che governa il Sudafrica dalla fine dell’apartheid, nel 1994. Se non sarà essere eletto leader dell’Anc, Ramaphosa avrà perso anche la possibilità di presentare la sua candidatura alle elezioni presidenziali del 2024. 

 

 

 

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