
Prima di arrivare in Egitto mi immaginavo che il mese di Ramadan fosse per i musulmani quello che per noi cristiani è la Quaresima, mutatis mutandis: un periodo di digiuno e di astinenza, di maggiore attenzione alla vita di preghiera, un tempo privilegiato per dare una mano a chi è in difficoltà. In effetti, tutti questi elementi ci sono. Però, dicendo solo questo, non si è ancora in grado di cogliere cosa rappresenti questo mese a livello religioso e sociale.
Avendo vissuto in Egitto il Ramadan del 2018 e del 2019, mi sono trovato a pensare che esso stia ai Paesi a maggioranza musulmana come il periodo natalizio ai Paesi dove c’è la tradizione di festeggiare il Natale. Questo perché, passato il tramonto, il digiuno lascia il posto alla festa. È un periodo di incontri, di visite a famigliari e amici per l’Iftar, il pasto che chiude il digiuno dopo la preghiera del tramonto. È un tempo in cui viene dato spazio alle relazioni, mangiando insieme. Si, proprio così, il mese di Ramadan è un tempo di festa e di buon cibo mangiato insieme alle persone a cui si vuol bene. Forse anche troppo, se è vero che in un mese in Egitto si consumano alimenti quanto durante quattro mesi normali, come mi hanno riferito alcuni amici egiziani. Le strade si riempiono di luci e insegne, fra cui le lanterne colorate tipiche di questo periodo. Ai bambini si regalano vestiti nuovi e altro, a seconda delle possibillità.
Molto caratteristiche sono le mawa’id al-rahman, cioè le “Tavole del Misericordioso”. Ai miei occhi sono un aspetto molto toccante di questo periodo, sicuramente esprimono la generosità ed ospitalità tipiche degli egiziani. Si tratta di tavole sparse un po’ ovunque nelle città, preparate da organizzazioni o da privati cittadini, dove chiunque può sedersi e rompere il digiuno senza pagare. Pensate per i più indigenti, in realtà a volte diventano anche luogo di ritrovo, dove non è necessario possedere alcun requisito per poter partecipare.
In generale, insomma, c’è una dimensione festiva molto sentita, e spesso vissuta di notte e per strada. Forse per alcuni questo aspetto è il più importante, dato che anche qui ci sono molti che hanno un approccio distaccato alla religione, vista più come tradizione e dimensione sociale. Nonostante ciò, non si può dimenticare la dimensione spirituale, che rimane quella centrale per molti. Si intensificano le preghiere e invocazioni personali, il ritrovo del Venerdì alla preghiera del mezzogiorno assume più importanza, tutti sono invitati a leggere il Corano per intero, cosa che alcuni ripetono varie volte. È considerato un tempo in cui avvicinarsi a Dio il clemente e misericordioso.
Ecco, tutto questo i musulmani in Egitto, come nel resto del mondo, lo stanno vivendo sotto le restrizioni dovute all’emergenza del Covid19. Le moschee sono chiuse, i raggruppamenti sono vietati, c’è il coprifuoco dalle 9 di sera alle 6 di mattina. Questo vuol dire che non ci saranno Tavole del misericordioso quest’anno, che non si può pregare in moschea assieme agli altri fedeli, che solo con difficoltà e limitazioni si possono visitare amici e parenti.
In vari posti la gente si é organizzata comunque per passare tempo insieme, in barba ad ogni prudenza, ma è innegabile che quest’anno non si percepisca quell’atmosfera gioiosa tipica del periodo. In questo, forse, possiamo sentirci vicini, musulmani e cristiani, nell’avere vissuto momenti importantissimi del nostro cammino comunitario di fede, la Pasqua e il Ramadan, quasi in sordina, nelle limitazioni alla celebrazione che il momento che stiamo vivendo comporta.
Forse quindi riusciamo a immaginare lo sconforto che ha preso alcuni, le domande e paure che vengono moltiplicate dal trascorrere per la prima volta un tempo di Ramadan così amputato di aspetti che la gente ha nel cuore. Così come forse riusciamo ad immaginare la speranza di tanti e la rinnovata attenzione alla presenza di Dio nel quotidiano. Anche qui i social media sono diventati strumento per accorciare le distanze. Qualche giorno fa un mio professore di Arabo ha partecipato su facebook ad una serata di poesia, che normalmente si sarebbe svolta in un locale affollatissimo o per strada.
Egitto e Italia, musulmani e cristiani, Ramadan e Pasqua. Forse oggi è più facile capire come, davanti a certe sfide, ci troviamo davvero tutti sulla stessa barca, come dice papa Francesco. E come ha invitato a fare l’Alto Comitato per la fratellanza umana per la giornata del 14 maggio scorso. Per vivere una giornata di preghiera, digiuno e gesti di misericordia.
Ora che anche sul Ramadan cala il sipario non so come usciremo da questo periodo, se sarà un punto di appoggio per un salto di qualità nelle relazioni e nella costruzione della nostra umanità, o una incrinatura che accentuerà le difficoltà che già ci portavamo dietro. Quello che so è che la speranza poggia sul saper avere uno sguardo fraterno, capace di accettare e integrare le differenze senza sorvolarle, in un dialogo che si fa vita condivisa nel quotidiano.
A noi cristiani, che continuiamo a vivere il tempo pasquale, arriva anche forte il messaggio della Resurrezione, fondamento del nostro pensiero e della nostra azione: Dio scrive pagine di vita e luce anche nelle pieghe scure e dolorose della storia.