Valore migrante: mappare competenze diverse - Nigrizia
Economia Migrazioni
Progetto Ismu DimiCome / Diversity management e integrazione
Valore migrante: mappare competenze diverse
Nel mondo del lavoro non esistono solo le “hard skin”, le alte competenze professionali. Ma anche le “soft skin”, competenze egualmente importanti, che restituiscono il valore umano su cui costruire dei percorsi che affiancano le abilità tecniche. Un progetto Ismu si è focalizzato sulla mappatura delle esperienze delle persone migranti, individuando la ricchezza della diversità
03 Marzo 2022
Articolo di Jessica Cugini
Tempo di lettura 4 minuti

Valorizzare le competenze delle persone migranti che sono presenti sul territorio. Non solo per favorirne l’emersione e l’inserimento nel mondo del lavoro, ma per restituire loro la consapevolezza di essere portatrici di un valore. Un valore che passa non necessariamente da quelle che in gergo vengono dette “hard skin”, alte competenze, difficilmente certificabili; ma dal saper fare, essere, rapportarsi, aver superato prove difficili, aver supportato mentre si era in cammino. Perché il percorso migratorio può essere un valore in sé, se lo si ascolta, restituisce, lo si racconta, lo si rafforza, ne si dà consapevolezza.

Parte dal lontano il progetto DimiCome di Ismu, dal 2014, con un fondo europeo del Fami (Fondo asilo migrazione integrazione), e arriva a compimento dopo aver coinvolto varie realtà di cinque regioni italiane (Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Puglia e Veneto), in un percorso che ha come obiettivo aprire nuove tracce, percorsi da esplorare, attraverso Linee guida che dicono che si può e si deve.

Che è risorsa la migrazione, se si favorisce l’emersione attraverso strade differenti in cui le skin, le competenze, non sono solo hard, ma possono essere soft. E non per questo valgono meno. Anzi, proprio perché costringono a fermarsi, ascoltare, mettersi in gioco e capovolgere le modalità di sguardo, sono ricchezza. Ricchezza umana, capace di far crescere il tessuto occupazionale e aziendale. Tutto sta nel provarci, iniziare, condividere buone pratiche, anche in territori difficili, come la Puglia di cui racconta la professoressa Serafina Pastore dell’università degli studi di Bari Aldo Moro.

La diversità che diventa dote

Anche in questa terra di passaggio, in cui ci si ferma per poco, il tanto per racimolare e andare oltre, la mappatura del territorio, richiesta dal progetto, può riservare degli effetti sorpresa, che la professoressa definisce “benedizioni”. Oltre agli “effetti attesi”, si scoprono delle realtà più piccole che restituiscono un segno positivo che già esiste nel territorio; degli “effetti comunità” che raccontano di coinvolgimenti di contesti lavorativi che diventano famigliari, quando vi è vicinanza e conoscenza; ed “effetti di revisione critica”, perché le stesse aziende si mettono in discussione, rivedono i propri assetti organizzativi e anche identitari. Come è giusto che avvenga quando si incontra quella competenza diversa che ancora non si includeva.

E cambia lo sguardo. «La diversità diventa valore. La persona viene messa al centro di un percorso in cui si mappano le competenze, quelle che appartengono alle diversità date, che arrivano dal genere, dall’età, dall’origine. Cui si aggiungono quelle che invece vengono acquisite durante il percorso migratorio, che fa sì che si conseguano competenze altre, che in un contesto di narrazione vengono riconosciute», come racconta il professore Giorgio Gosetti, sociologo del lavoro dell’università di Verona.

E quel che ritorna è duale: «è il valore del lavoro e il lavoro come valore. E richiede un cambio di prospettiva: dalle pari opportunità basate sul merito, le azioni riparative, le quote rosa, al diversity management, una gestione delle risorse che coinvolgono le persone migranti in prima persona e mettono in gioco le dinamiche culturali del territorio, facendo scoprire che esistono già realtà sottaciute».

Una rete di rinforzo

Loro, le realtà che si sono messe in rete per dare vita al progetto, lo hanno fatto. Hanno mappato i loro territori, dimostrando che il mondo del lavoro, se diventa inclusivo di percorsi altri, può sperimentare una crescita che non conosceva, perché non intercettava competenze altre, non solo tecniche ma umane. Il progetto Ismu, con le sue Linee guida, mostra che si può fare, occorre, lo spiega Nicoletta Manzini di Fondazione Mondinsieme, «fare rete, avere una cabina di regia che tenga legato l’ente che coordina con le realtà del territorio, le associazioni di categorie, le imprese. Un percorso che diventa una sorta di laboratorio permanente di politiche e pratiche pubbliche che si contaminano con il privato».

Un’occasione che va incentivata, come spiega Mara Di Lullo del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’interno, «non solo per inserire le persone migranti nel mondo del lavoro, ma soprattutto per combattere le irregolarità che spesso contraddistinguono il loro reclutamento. Una maggiore consapevolezza del proprio valore, la possibilità di vedere riconosciuta la propria abilità che viene rafforzata in un percorso di formazione appropriato, rende le persone protagoniste e le aziende più ricche di professionalità».

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