Frontiere d’Europa, i confini della violenza - Nigrizia
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Il report del network Protecting Rights at Borders e il film di Segre su Trieste
Frontiere d’Europa, i confini della violenza
Rotta balcanica e respingimenti. Un rapporto punta il dito sulle violazioni dei diritti che accadono ai confini, lì dove il ministro Tajani racconta di una “presenza gradita” dei militari e l’Austria e i Paesi Bassi vorrebbero muri
27 Gennaio 2023
Articolo di Jessica Cugini
Tempo di lettura 4 minuti

I Balcani, a sentire l’ultima dichiarazione del ministro degli esteri Antonio Tajani, in audizione ieri presso le commissioni degli affari esteri di Camera e Senato riunite, sono decisivi sulla gestione dei flussi della rotta che transita nel nord Italia.

Ecco perché, riferendosi ai 140mila attraversamenti (o forse sarebbe meglio dire tentativi di attraversamento) delle frontiere, che il ministro riferisce essere avvenuti lo scorso anno, non ha perso l’occasione per ricordare «l’impegno cruciale» dei militari lungo il confine tra Kosovo e Serbia. Una «presenza gradita» ha assicurato, che «favorisce la stabilizzazione» di questa zona che rappresenta «una priorità del governo italiano, non sempre sufficientemente seguita con attenzione».

Cosa voglia dire però la presenza degli eserciti in queste e altre zone di frontiera lo racconta bene il rapporto del network Prab (Protecting Rights at Borders), una sigla che riunisce varie organizzazioni che si occupano di diritti e operano in diversi paesi: dall’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) alla Diaconia Valdese; dal Danish Refugee Council al serbo Humanitarian Center for Integration and Tolerance (Hcit); dalla macedone Macedonian Young Lawyers Association (Myla) al greco Greek Council for Refugees (Gcr).

La violazione dei diritti è prassi

«L’uso sistematico dei respingimenti delle persone straniere che arrivano alle frontiere europee rende più difficile l’accesso alla protezione internazionale. Sono quasi seimila le persone respinte alle frontiere europee nel 2022, a cui non solo è stato negato il diritto a chiedere asilo, ma che sono state anche vittime di violenze, furti e detenzioni arbitrarie», si legge nel rapporto.

Il monitoraggio effettuato dalle associazioni lo scorso anno, da gennaio a dicembre, ha intercettato 5.756 persone che sono state protagoniste di episodi di respingimento. Respingimenti che il rapporto racconta come sistematici, prassi oramai integrata di quei meccanismi di controllo che dovrebbero garantire i confini. E dove, in nome di questi, avvengono giornalmente violazioni dei diritti umani.  

Il report evidenzia infatti come alle persone migranti non solo venga impedito di attraversare le frontiere, ma nonostante il loro paese di provenienza dia diritto ad accedere a un sistema di accoglienza e protezione, sempre più spesso alle porte dell’Europa venga negata la possibilità di conoscere e usufruire delle procedure di asilo.

Le persone migranti vengono tratte in arresto, in una detenzione del tutto arbitraria, in cui l’abuso fisico o il maltrattamento sono diventate prassi, così come il furto o la distruzione, sottrazione dei beni che hanno con sé.

“Chi viene da Afghanistan, Siria e Pakistan ha riferito di essere stato più spesso vittima di respingimenti e nel 12% degli incidenti registrati sono stati coinvolti bambini. E questi dati sono purtroppo solo la punta dell’iceberg”, scrive l’Asgi, che denuncia cosa accade nelle frontiere della rotta balcanica e nei porti adriatici dall’Italia alla Grecia, e come il 2022 sia stato l’anno in cui si è visto come la situazione ai confini europei non sia stata uguale per tutti.

Il continente che ha adottato misure straordinarie per accogliere 4,9 milioni di persone che scappavano dall’Ucraìna, è anche quello dove, sottolinea Asgi, “esistono due pesi e due misure basate sul profilo etnico”.

Quei muri per cui contano i soldi non i diritti

Ed è anche lo stesso continente dove, dalla Polonia (che tante persone ucraìne ha accolto) all’Ungheria, dalla Lituania alla Spagna crescono muri e barriere per fermare i flussi migratori. Su questo tema, l’ultimo stato per ordine di tempo è l’Austria, che chiede di costruire un muro tra Bulgaria e Turchia.

E si appella, per avere i finanziamenti, proprio all’Europa e ai suoi fondi. Aggiungendosi a un altro stato: i Paesi Bassi. Anche questi ultimi avrebbero inviato a Bruxelles un documento informale in cui chiedono infrastrutture mobili o fisse per gestire le frontiere.

Il vertice del 9 e 10 febbraio si avvicina, e mentre la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, indirizza una lettera ai capi di stato e di governo in cui sottolinea, ancora una volta, il piano per accelerare i rimpatri, la commissaria agli affari interni Ylva Johansson risponde all’Austria che per la costruzione del muro “non ci sono soldi in bilancio a sufficienza”. È quindi questione economica, non più, come si diceva qualche tempo fa, violazione dei principi fondativi dell’Unione.

Intanto, nelle sale italiane, è partito il tour del film Trieste è bella anche di notte, del trio di registi Matteo Calore, Andrea Segre e Stefano Collizzolli, lavoro di quel laboratorio culturale di cinema partecipativo e sociale che è il collettivo Zalab. Un film che racconta di viaggi interrotti e violenze, ma anche di “riammissioni informali”, di quei respingimenti cioè che per legge sarebbero illegali, ma quando la legge diventa formalità vengono riattivati con il nullaosta dei governi.

 

 

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