Namibia: prima centrale elettrica ad idrogeno in Africa
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Namibia: la prima centrale elettrica ad idrogeno d’Africa prevista per il 2024
Il progetto porterebbe elettricità per 120mila abitanti, riducendo il bisogno del paese di importare energia dall’estero. Uno dei progetti green innovativi nel continente. Ma sono ancora troppo pochi. E a novembre è prevista la Cop27 in Egitto
13 Settembre 2022
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 3 minuti

La prima centrale ad idrogeno d’Africa dovrebbe entrare in funzione in Namibia entro il 2024.

Lo ha annunciato ieri il produttore francese di energia indipendente HPA Energy.

Secondo Nicolas Lecomte, direttore energetico per HPA nell’Africa australe, «ogni anno potremo produrre 142 gigawatt ore, sufficienti per 142mila abitanti. E questa è una previsione conservatrice».

La centrale ad idrogeno – con un costo di 181,5 milioni di dollari – potrebbe soddisfare il fabbisogno di circa il 4,8% dei 2,5 milioni di abitanti della Namibia. Un contributo contenuto in termini assoluti, ma che contribuirebbe in modo sostenibile, a ridurre la percentuale di energia importata dal confinante Sudafrica, che attualmente si attesta al 40%.

È un annuncio che lascia ben sperare per un maggior sfruttamento dell’idrogeno. Finora la tecnologia richiesta tende ad avere dei costi elevati, rendendola poco competitiva in termini economici.

La Namibia punta a divenire un hub per l’energie rinnovabili in Africa, sfruttando soprattutto il suo enorme potenziale in termini di energia solare ed eolico. A livello mondiale, vanta un territorio tra i più esposti al sole e una delle più basse densità di popolazione.

Il fotovoltaico sul centro commerciale

Già nell’ottobre del 2019 è stato installato l’impianto fotovoltaico da 1.130 kWp sul tetto del centro commerciale Wernhil Park di Windhoek, la capitale della Namibia.
L’impianto fornisce energia pulita al complesso commerciale, riducendo i costi energetici e consentendo al centro di evitare 2.144 tonnellate di CO2 all’anno.

Interventi green che sono ancora pochi nel continente. Anche se in Africa il cambiamento climatico è una questione di vita o di morte. «E se non riusciamo a frenare questo problema, in 30-40 anni il continente sarà completamente destabilizzato», l’allarme, tra i tanti, lanciato dal ministro gabonese delle acque e delle foreste Lee White in occasione della settimana africana del clima che si è svolta a Libreville dal 29 agosto al 2 settembre in Gabon.

Perché è vero che tutti ci troviamo nella stessa tempesta. Ma, come ci ha ricordato l’attivista ugandese Vanessa Nakate, «seduti su barche diverse».

Necessari 1.600 miliardi di dollari

Il rapporto African Economic Outlook 2022 della Banca africana di sviluppo prevede che il continente avrà bisogno di ben 1.600 miliardi di dollari tra il 2020 e il 2030 per attuare gli impegni di azione per il clima. Finora, ha ricevuto solo 18,3 miliardi di dollari all’anno, lasciando un deficit di finanziamento di 108 miliardi di dollari ogni anno.

Da ricordare che l’Africa, sebbene responsabile di meno del 4% delle emissioni globali di CO2, è il continente che paga il prezzo più pesante per il riscaldamento globale, come dimostrano la siccità e le inondazioni di questi mesi.

L’accusa di Hrw all’Egitto

Dal 6 al 18 novembre è prevista la Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (la Cop27) di Sharm el-Sheikh, in Egitto. Il Cairo si pone come paladino della lotta per il clima e si presenta come portavoce dell’Africa invitando i paesi sviluppati a rispettare i propri impegni finanziari per aiutare il continente ad adattarsi ai cambiamenti climatici.

Tuttavia nei giorni scorsi è stata criticata l’organizzazione dell’evento da parte di Human Rights Watch, che accusa le autorità egiziane di imporre «ostacoli» al lavoro dei gruppi ambientalisti egiziani, a poche settimane dalla Conferenza.

«Il governo egiziano impone arbitrariamente ostacoli al finanziamento, alla ricerca e alla registrazione dei gruppi ambientalisti locali, costringendo alcuni attivisti all’esilio e altri ad abbandonare importanti lavori», ha denunciato Richard Pearhouse, direttore ambientale della ong per i diritti umani. «Queste restrizioni violano le libertà di riunione e di associazione e minacciano la capacità dell’Egitto di rispettare i suoi impegni ambientali e di azione per il clima, mentre ospiterà la Cop27 a novembre».

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