
Etiopia, Egitto e Sudan sono ancora lontani da un accordo su come e quanto Addis Abeba dovrà tener conto dei bisogni dei paesi a valle nel periodo del riempimento del bacino della grande diga per la rinascita etiopica (Gerd) e quanta acqua sarà disposta a rilasciare nei casi di emergenza, come prolungati periodi di siccità. Inoltre va trovata una convergenza sul valore giuridico che l’accordo stesso dovrà avere.
Lunedì 3 agosto, i negoziati brevemente condotti online su questioni tecniche dai ministri dell’irrigazione dei tre paesi sono stati sospesi per l’ennesima volta, nonostante l’intervento dell’Unione africana che cerca di mediare dopo il fallimento del round svoltosi lo scorso luglio. La discussione si è bruscamente interrotta quando l’Etiopia ha presentato sul tavolo negoziale un nuovo documento in cui propone di trovare un punto d’incontro accettabile per tutti sulla prima fase di riempimento del bacino (della capacitá di 74 miliardi di metri cubi d’acqua, che sarà riempito nel corso di diversi anni) e di discutere il resto in un accordo piú ampio, che riguarda l’uso delle acque del Nilo Blu, sul cui corso la Gerd è stata costruita.
Vige ancora l’accordo del 1959
La questione non è di poco conto. Il Nilo Blu, che ha le sue sorgenti sull’altopiano etiopico, fornisce l’85% delle acque del Nilo, che si forma a Khartoum, dove confluiscono anche le acque del Nilo Bianco, che ha le sue sorgenti nel Lago Vittoria. Discutere l’uso delle acque del Nilo Blu significherebbe di fatto discutere l’uso delle acque dell’intero fiume, da cui dipendono buona parte della popolazione sudanese e la quasi totalità della popolazione egiziana. Un eventuale accordo spazzerebbe via quello attualmente vigente, stipulato nel 1959 fra Egitto e Sudan, che garantisce al Cairo, e in misura molto minore a Khartoum, il diritto sulla gestione della quasi totalità delle acque del grande fiume.
Su un nuovo trattato hanno lavorato per anni i paesi aderenti alla partnership intergovernativa Nile Basin Initiative (Nbi), nata nel 1999. Ne fanno parte Egitto, Sudan, Etiopia, Uganda, Kenya, Tanzania, Burundi, Rwanda, Repubblica democratica del Congo, Sud Sudan ed Eritrea, quest’ultima con lo status di paese osservatore. Nel 2010 alcuni paesi – Etiopia, Kenya, Uganda, Tanzania e Rwanda – hanno firmato un accordo quadro di cooperazione (Cooperative Framework Agreement) siglato successivamente anche dal Burundi. L’accordo è stato fermamente rigettato dall’Egitto e dal Sudan, per cui non è mai stato possibile discutere un vero e proprio trattato complessivo e sostitutivo di quello del 1959, che gli altri paesi del bacino non riconoscono.
Addis Abeba lavora ai fianchi
La proposta avanzata da Addis Abeba nei giorni scorsi si inquadra perció in un contesto di discussione molto piú ampio e potrebbe venir interpretata come un modo per costringere i due paesi contrari ad accettare di rimettere in discussione la loro posizione riguardo all’accordo quadro di cooperazione.
Lo si intuisce dalla fermissima presa di posizione sudanese ed egiziana. Il ministro sudanese per l’irrigazione e le risorse idriche, Yasir Abbas, ha dichiarato che l’Etiopia non vuole più trattare sulla operatività della Gerd, e questo «costituisce un cambio di posizione che mina la continuitá del processo negoziale di cui è guida l’Unione Africana, e una violazione della Dichiarazione di principi firmata da Egitto, Etiopia e Sudan il 23 marzo 2015». Nella sua dichiarazione afferma anche che non è disponibile ad affidare in altre mani il futuro e la vita stessa di milioni di cittadini sudanesi che vivono sulle rive del Nilo e delle sue acque, tanto piú che è convinto che la grande diga etiopica porrà «rischi seri dal punto di vista ambientale e sociale».
Anche il ministro egiziano, competente, Mohamed Abdel-Ati, ha fatto sapere che ritiene la proposta di Addis Abeba come una violazione degli accordi sui punti da negoziare, concordati l’ultima volta il 3 agosto, poche ore prima della presentazione della nuova proposta etiopica. Ha infine proposto che le trattative riprendano attorno al 10 agosto.
Obiettivo 6 gigawatt
Intanto, alla metà di luglio, con una decisione unilaterale, l’Etiopia ha cominciato a riempire il bacino e ha dichiarato che due delle turbine che produrranno energia elettrica cominceranno ad essere operative all’inizio del prossimo anno. Nei giorni scorsi sono stati organizzati festeggiamenti nel paese ed è stata lanciata una campagna per la raccolta dei fondi ancora mancanti per finire il gigantesco progetto.
La centrale idroelettrica servita dalla diga sarà totalmente operativa nei prossimi anni. L’energia prodotta – 6 gigawatt – sarà utilizzata per lo sviluppo economico e per il miglioramento della qualitá della vita dei suoi 110 milioni di abitanti, il 60% circa dei quali vive ancora in zone non elettrificate. Ma sarà soprattutto venduta ai paesi vicini. Grazie alla Gerd, l’Etiopia si propone di diventare il piú importante produttore regionale di energia elettrica e punta ad aumentare considerevolmente le entrate, già ora notevoli, per la sua esportazione.