Il Botswana provoca, ma sulla caccia agli elefanti la discussione è seria
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Il presidente Masisi a Berlino: «Prendetevi 20mila pachidermi»
Botswana: Gaborone provoca, ma sulla caccia agli elefanti la discussione è seria
Vari paesi europei vogliono limitare l'import di trofei da caccia, ma a Gaborone in molti criticano questo approccio
04 Aprile 2024
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 6 minuti
Elefanti nella zona di Savuti del Parco nazionale del Chlobe, Botswana

Diecimila elefanti da spedire in Gran Bretagna, liberi di scorrazzare per Hyde Park, e addirittura 20mila in Germania, con il vincolo di tenerli all’aria aperta. Il governo del Botswana, casa di circa un terzo della popolazione mondiale dei pachidermi, provoca i governi europei mentre diversi paesi del continente pensano a leggi che limitino l’importazione dei trofei di caccia. Questa pratica, quando correttamente regolamentata, è vista invece da Gaborone come un importante strumento di contenimento della presunta sovrappolazione di elefanti che interesserebbe il paese e come una risorsa economica.

Il tema è complesso e va molto aldilà delle ironie che hanno suscitato le affermazioni delle autorità del Botswana, a partire dal presidente Mokgweetsi Masisi. La questione tocca nodi centrali come il conflitto fra la conservazione della biodiversità e gli interessi delle comunità rurali. I confini fra questi due mondi sono spesso attraversati fisicamente dagli elefanti infatti, con danni a persone, cose e coltivazioni e costi significativi per le popolazioni. La questione mette in luce anche alcune sostanziali differenze di vedute sulle politiche ambientali e di salvaguardia della biodiversità fra paesi africani ed europei.

Masisi provoca Berlino

Ma è meglio andare con ordine. Da ieri i media di tutta Europa rilanciano delle dichiarazioni che il presidente del Botswana Masisi avrebbe rilasciato al tabloid tedesco Bild, giornale fra più letti del continente, famoso anche per i suoi afflati sensazionalisti. Il condizionale è una precauzione dovuta, visto che nessun media del paese africano cita o dedica spazio alle presunte affermazioni del capo di stato.

In pratica, Masisi avrebbe pungolato il governo tedesco per le limitazioni o addirittura il divieto alle importazioni di trofei di caccia proposti nei mesi scorsi dalla ministra dell’ambiente, Steffi Lemke, del partito dei Verdi. Il capo di stato, si legge sul rotocalco tedesco, ha proposto quindi di spedire 20mila esemplari di elefanti in Germania, da tenere rigorosamente all’aria aperta, così da dar modo al governo tedesco di «vivere con gli animali nel modo in cui esorta noi a coesisterci». Masisi avrebbe specificato che la proposta «non è uno scherzo» e di «non accettare un no come risposta». Una portavoce del dicastero dell’ambiente di Berlino ha reso noto che il governo di Gaborone non avrebbe mosso nessuna lamentela sul tema tramite canali ufficiali.

Bild ha comunque già iniziato a sondare le possibilità di trasformare in realtà la provocazione di Masisi. In un lungo articolo il tabloid indaga sulle modalità di spedizione degli animali, la cui popolazione in Botswana supera i 130mila esemplari stando a stime ufficiali. 

E prima Londra…

Le parole del presidente seguono osservazioni simili avanzate dal governo della Namibia, che pure potrebbe diventare oggetto dei provvedimenti tedeschi, e poi dello stesso ministro dell’ambiente di Gaborone, Dumezweni Mthimkhulu. Il dirigente ha criticato il governo tedesco per la stessa idea di legge attaccata da Masisi e ha poi lanciato una boutade simile a quella del capo dello stato, stavolta nei riguardi del Regno Unito. «Spero che la Gran Bretagna accetti la mia offerta di 10mila elefanti, potrebbero teneri all’Hyde Park di Londra affinché tutti li possano vedere», aveva tuonato il dirigente, che poi aveva spiegato: «Voglio che i britannici abbiano un assaggio di convivenza con gli elefanti, che travolgono il mio paese. In alcune zone ci sono più animali che persone. Stanno uccidendo i bambini che si mettono sul loro cammino. Calpestano e mangiano i raccolti dei contadini lasciando le persone senza cibo. Rubano l’acqua che scorre dai tubi. Hanno ormai perso la paura degli umani».

Mthimkhulu ha anche accusato Londra di avere un mantenere un approccio «coloniale» nei riguardi del Botswana, una denuncia che al parlamento britannico era stata lanciata anche dal presidente Masisi. Diversamente da quanto avviene in Germania, a Londra una proposta di legge per limitare l’ingresso nel paese dei trofei di caccia da diversi paesi, fra i quali altri quattro dell’Africa meridionale, è già in discussione alla Camera dei Comuni, dove ha già passato una prima lettura.

A settembre un provvedimento di questo tipo era riuscito ad arrivare alla Camera dei Lord ma era stato poi bloccato dai parlamentari. Nelle scorse settimane anche organizzazioni comunitarie e della società civile del Botswana hanno protestato contro il provvedimento davanti alla sede consolare britannica a Gaborone.

L’Europa, Gran Bretagna inclusa, rappresenta il 30% del mercato dei trofei di caccia provenienti dal Botswana, mentre il restante 70% è concentrato negli Stati Uniti. Il paese africano aveva introdotto una moratoria su questa pratica nel 2014, durante il governo dell’ex presidente Ian Khama. L’esecutivo guidato da Masisi l’ha però rimossa nel 2019, anche a seguito di pressioni delle comunità locali. A oggi inoltre, il 40% del territorio del paese è destinato ad aree protette, il 22% è anche adibito ad attività di caccia controllata.

Le autorità di Gaborone affermano che la quota per la caccia di circa 350 elefanti all’anno stabilita dal governo è in linea con quelle indicate dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES). Sul portale di quest’ultimo ente, le soglie indicate per il Botswana nel 2024 sono in effetti di 800 zanne, da quindi non più di 400 animali. Questo numero è ritenuto comunque molto alto dalle organizzazioni ambientaliste. Più in generale le realtà animaliste e per la tutela della biodiversità condannano tutto il funzionamento del sistema della caccia per i trofei, giudicato del tutto privo di scrupoli e completamente disinteressato alla tutela degli animali e delle specie in via di estinzione.

Valutazioni a confronto 

Lo stesso sistema del Botswana è stato messo pesantemente sotto accusa in un report del giornalista britannico Adam Cruise. Nel documento si accusa Gaborone di non rispettare diversi impegni sottoscritti col CITES, di diffuse pratiche di corruzione e mala gestione e di costringere le comunità locali in un circolo vizioso di impoverimento e dipendenza da pratiche come la caccia. Secondo questo report inoltre, le soglie annuali, che sono però  stabilite dal CITES, non sono elaborate su basi scientifiche. 

Società civile e mondo accademico del Botswana dal canto loro accusano i paesi europei di non prendere in considerazione l’impatto economico e sociale di una riduzione o un divieto delle attività di caccia.

Dal punto di vista economico, si apprenda da un’analisi dell’Università del Botswana consegnata a Nigrizia, trust gestiti da comunità locali guadagnano ogni anno circa nove milioni di dollari dalla gestione dei permessi per la caccia e delle attività correlate. Di questi circa 2,3 milioni provengono solo dai diritti concessi per cacciare (rispettivamente circa 134 e 31 milioni di pula locali). Questo denaro viene poi utilizzato in progetti di sviluppo comunitari, attività imprenditoriali e turistiche. Le organizzazioni comunitarie citate danno lavoro a circa 7mila persone.

Anche le ripercussioni sociali del conflitto uomo-elefante sarebbero notevoli, secondo questa stessa fonte. In 12 mesi fra il 2022 e il 2023 si sarebbero registrati oltre 11mila episodi di conflitto fra pachidermi e comunità. Il costo economico di questa complicata convivenza è stato di 800mila dollari, circa 26 milioni di pula.

L’elefante africano delle savane del Botswana è classificato come “in pericolo di estinzione” dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN). La popolazione mondiale di questa specie è diminuita del 60% in 50 anni, attestandosi sulle attuali 415mila unità. 

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