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Capo Verde: il turismo ostaggio della pandemia
La crisi indotta dal Covid-19 ha eroso quasi il 15% del Pil dell’arcipelago. Il più colpito è il settore turistico, punto di forza dell’economia. Cresce la disoccupazione e il malcontento
25 Giugno 2021
Articolo di Luca Bussotti
Tempo di lettura 5 minuti
Capo Verde donna al mercato

Quando si analizzano le classifiche internazionali relative alla democrazia o alla libertà di espressione e di stampa balza agli occhi che Capo Verde si trovi, ormai da alcuni anni, fra i primi trenta paesi al mondo.

L’ong Freedom House – che tutti gli anni stila il ranking dei paesi più e meno liberi del pianeta – classifica come «completamente libero» questo piccolo arcipelago dell’Oceano Atlantico con poco più di 500mila abitanti (a cui deve aggiungersi una diaspora più numerosa degli stessi residenti, che contribuisce a più del 10% del Pil nazionale).

L’indice del report 2021 di Freedom House per Capo Verde indica un eccellente 38∕40 per quanto riguarda i diritti politici, e 54∕60 per le libertà civili, totalizzando 92 punti su 100.

Dati molto simili sulla libertà di stampa: nonostante, nel 2021, il paese sia sceso di due posizioni, si trova comunque fra le prime trenta nazioni al mondo, secondo il report annuale di Reporter senza frontiere (per l’esattezza al ventisettesimo posto).

Gli indicatori che fanno di Capo Verde il secondo paese africano per libertà di stampa dopo la Namibia (al 24º posto) fanno riferimento all’assenza di minacce ai giornalisti e alla rinuncia, da parte del governo, di nominare gli amministratori della radio e televisione pubbliche (Rtc).

Tra i limiti rilevati dal report, la scarsa diffusione dell’informazione privata e meccanismi di autocensura da parte dei giornalisti, soprattutto degli organi pubblici: probabilmente un’eredità del regime monopartitico che per molti anni ha caratterizzato la politica dell’arcipelago, alla stregua di tutti gli altri paesi lusofoni africani.

L’impegno di Capo Verde per un modello democratico solido e condiviso da tutti i partiti e dalla società civile è reso evidente dalla continua alternanza al potere di formazioni di centro-sinistra (l’ex-partito unico Paicv, Partito africano per l’indipendenza di Capo Verde) e di centro-destra (l’attuale Mpd, Movimento per la democrazia).

Sono inoltre nati nuovi partiti – come l’Unione capoverdiana indipendente e democratica, di ispirazione democratico-cristiana – che sono riusciti a conquistare seggi parlamentari, con 4 deputati ottenuti nelle ultime legislative del 18 aprile 2021. E, naturalmente, siamo in presenza di processi elettorali trasparenti a accettati da tutti.

2020 disastroso

Nonostante questo quadro incoraggiante, soprattutto in confronto al contesto africano, e ancor più a quello africano lusofono, si addensano all’orizzonte nubi che potrebbero portare a momenti difficili per la democrazia capoverdiana.

Il primo riguarda l’economia. Una delle fortune di Capo Verde, infatti, è stata, paradossalmente, l’assenza di materie prime, tanto che l’arcipelago, quando fu scoperto dall’italiano Antonio da Noli nel 1460 su mandato di Enrico il Navigatore, era disabitato, e fu popolato come punto logistico strategico per il traffico di schiavi nel Medio Atlantico.

I portoghesi, durante l’epoca coloniale, concentrarono i loro sforzi di sfruttamento nella vicina Guinea-Bissau e soprattutto a São Tomé e Principe per la produzione di caffè e poi cacao, mentre Capo Verde, anche a causa della sua povertà, dovuta principalmente dalla costante siccità e dalla scarsa popolazione, non acquisì mai importanza strategica, se non come “colonia di servizio”.

La lotta di liberazione, condotta da Amilcar Cabral, si concentrò militarmente nella Guinea-Bissau, cosicché Capo Verde ottenne l’indipendenza senza mai costituire teatro di guerra. Questa situazione portò il grande vantaggio di un paese con un ridotto tasso di violenza coloniale, mentre le sue condizioni climatiche ed economiche portarono i governanti a compiere una scelta che si è rivelata strategica: puntare sul turismo, che oggi rappresenta circa il 25% del Pil nazionale.

La pandemia di Covid-19, però, ha stravolto il modello stesso di sviluppo dell’arcipelago, portando a inaspettate tensioni economiche e finanziarie. Sul piano economico, infatti, la caduta del Pil nel 2020 è stata di quasi il 15%, e il tasso di disoccupazione si è avvicinato al 20%, con una punta del 40% presso l’Isola di Sal, quella a maggior vocazione turística, colpendo soprattutto i giovani.

Gli effetti si sono fatti sentire immediatamente: licenziamenti senza giusta causa, perdita del potere acquisitivo dei lavoratori, ingiustizie nei luoghi di lavoro sono soltanto alcune delle denunce fatte dalle varie sigle sindacali.

Monito del presidente

Sin dallo scorso anno, ci sono state manifestazioni di piazza per reclamare diritti che, a Capo Verde, sembravano ormai definitivamente conquistati. Le proteste sono state giudicate immotivate dal governo, mentre chi ha raccolto l’allerta è stato il presidente della repubblica, Jorge Carlos Fonseca.

Il 13 gennaio di quest’anno, parlando in parlamento in occasione della giornata per la libertà e la democrazia di Capo Verde (nel 1991 si sono celebrate le prime elezioni libere), Fonseca ha allertato le istituzioni circa la possibilità che si mettano all’opera forze capaci di attrarre i giovani verso principi contrari all’ordinamento democratico.

A complemento delle preoccupazioni del presidente, i dati finanziari non lasciano presagire niente di buono, e un rilancio dell’economia reale si rende necessario e urgente: il bilancio pubblico, infatti, ha dovuto attingere al debito per far fronte all’urgenza pandemica, raggiungendo la preoccupante cifra del 155% in rapporto al Pil, mentre nel 2019 era fermo al 120%.

Soltanto una ripresa delle entrate fiscali attraverso la creazione di posti di lavoro potrà fermare questa emorragia che sta rischiando di mettere a repentaglio ciò che di positivo Capo Verde ha costruito in tutti questi anni.

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