
Il reato di terrorismo non è più punibile con la pena di morte in Ciad. Lo ha deciso il 28 aprile il parlamento, votando all’unanimità la modifica della legge in materia di terrorismo, che risaliva al 2015 e che aveva reintrodotto la pena capitale per questo tipo di reato. Un provvedimento che di fatto abolisce la pena di morte nel paese saheliano.
Perché la nuova normativa entri in vigore è necessaria la firma del presidente Idriss Déby, l’uomo che dal 1990 domina la scena politica ciadiana dopo aver destituito Hissène Habré. In questi anni, Déby si è dotato di un esercito ben addestrato ed equipaggiato che è stato in più occasioni utilizzato nello scenario regionale in funzione di argine al terrorismo jihadista.
Dal 2014, quando è stato istituito il G5 Sahel – un dispositivo militare congiunto che vede la collaborazione di Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania, Niger -, le truppe di Déby si sono segnalate per l’efficacia della loro azione contro i gruppi radicali jihadisti.
Il dibattito
Nel dibattito parlamentare che ha preceduto l’approvazione del provvedimento non pochi deputati si sono chiesti se fosse opportuno arrivare all’abolizione, con il rischio che chi è condannato per terrorismo possa poi godere di benefici e ottenere la scarcerazione. Altri hanno sottolineato la preoccupazione di compiere questo passo, considerata la natura del terrorismo jihadista e la ferocia di cui ha dato prova in numerose occasioni.
Il ministro del giustizia, Djimet Arabi, ha spiegato che l’operazione ha lo scopo di armonizzare l’arsenale giuridico di cui dispongono i paesi membri del G5; e ha specificato che l’articolo 52 del nuovo testo di legge precisa che non è prevista la remissione della pena a chi condannato per reati di terrorismo.
A favore dell’abolizione si è espresso Nodjitoloum Salomon, presidente di Azione dei cristiani per l’abolizione della tortura. Dello stesso parere la Commissione nazionale dei diritti dell’uomo, che ha voluto ribadire che la pena di morte non è mai la soluzione per risolvere i problemi della criminalità e della delinquenza.
La vendetta
Mentre parlamento e società civile dibattevano sull’abolizione della pena di morte, il 16 aprile scorso è accaduto un fatto che pone più di un interrogativo sulla stato dei diritti umani fondamentali in Ciad. 44 persone su 58 in attesa di giudizio – arrestate dall’esercito ciadiano e accusate di appartenere al gruppo terroristico nigeriano Boko Haram nel corso di un’operazione antiterrorismo a Bohoma, nell’area del Lago Ciad – sono state trovate morte nella loro cella in un carcere della capitale N’Djamena.
E’ stata aperta un’inchiesta e dai primi elementi che emergono dall’autopsia effettuata su 4 cadaveri (mentre gli altri 40 sono stati frettolosamente sepolti, non si capisce bene perché…) dovrebbe trattarsi di avvelenamento. Il referto del medico legale rileva che è stata «ingerita una sostanza letale che ha provocato scompenso cardiaco in un caso e severa asfissia negli altri tre». Il procuratore della repubblica Youssouf Tom ha assicurato che le indagini andranno avanti per comprendere nel dettaglio come è avvenuta questa «morte collettiva».
L’operazione militare sul Lago Ciad era stata condotta dal 31 marzo al 2 aprile in risposta a un attacco, avvenuto il 29 marzo, di appartenenti al gruppo Boko Haram: l’attacco era costato la vita a 100 militari ciadiani. Subito il presidente Déby aveva promesso di «scompaginare la setta Boko Haram infliggendole una lezione mai vista».
Le organizzazioni della società civile hanno denunciato queste morti che portano in primo piano le condizioni inumane e lo stato di degrado delle carceri ciadiane. E hanno chiesto sia avviata un’inchiesta indipendente per determinare le responsabilità di questo dramma. La stessa Commissione dei diritti dell’uomo ha annunciato di aver aperto una propria indagine e ha invitato la società civile a sostenere l’iniziativa.