Gabon: ritratto della dinastia Bongo - Nigrizia
Conflitti e Terrorismo Gabon Politica e Società Unione Africana
Dopo il golpe del 30 agosto
Gabon: ritratto della dinastia Bongo
31 Agosto 2023
Articolo di Elio Boscaini
Tempo di lettura 8 minuti
(La république)
Il presidente Ali Bongo Ondimba, 64 anni

Mentre si susseguono le condanne del golpe compiuto ieri da un gruppo di alti ufficiali della guardia nazionale dell’esercito – Unione africana, Francia e Usa –, il generale Brice Oligui Nguema, già a capo della guardia repubblicana e ora punto di riferimento della giunta golpista, detta la linea.

Ha dichiarato che il presidente Ali Bongo Ondimba, al potere da 14 anni e da ieri agli arresti domiciliari, è stato semplicemente «messo a riposo». Poiché «non aveva il diritto di presentarsi per un terzo mandato e si è fatto beffe della Costituzione». E siccome anche il processo elettorale è stato opaco «l’esercito ha deciso di voltare pagina e di prendersi le propria responsabilità».

Il generale ha spiegato, in una intervista a Le Monde, di non considerarsi il nuovo capo di stato e che è in essere un dibattito per stabilire le modalità condurre la transizione.

In attesa di sviluppi ripercorriamo le vicende della famiglia Bongo che per 56 anni ha governato il paese con il bastone e la carota. Al Gabon Nigrizia di giugno ha dedicato un dossier di 14 pagine.

Qui di seguito l’articolo di Elio Boscaini sulle tappe della dinastia e sulla situazione politica, che apre il dossier.

 

Il capostipite

All’inizio della dinastia c’è lui, Omar Bongo (nome completo El Hadj Omar Bongo Ondimba, in precedenza noto come Albert-Bernard Bongo), presidente del Gabon dal 1967 al 2009. Fondatore e segretario generale del Pdg, nel novembre 1967 Omar Bongo è vicepresidente. È così che, alla morte di Léon M’Ba, l’uomo dell’indipendenza, gli succede alla presidenza della repubblica. Impone il Pdg come partito unico e governa con pugno di ferro, profittando della manna petrolifera, e non solo, di cui il paese abbonda. Ricchezza che attira tanti immigrati dai paesi vicini, sin dal Benin e dal Togo.

Nel 1973 Bongo si converte all’islam e assume il nome di El Hadj Omar Bongo, cui nel 2003 aggiunge Ondimba, il nome del papà. Giunto al potere con l’avallo di Parigi, l’ex potenza coloniale, Omar Bongo si è rivelato uno dei pilastri della Françafrique, sistema di cooptazione politica, reti occulte e riserva di caccia commerciale, fissata al momento dell’indipendenza delle colonie francesi in Africa. Praticò una politica conservatrice e autoritaria sul piano interno, filo-occidentale e alleata della Francia sul piano internazionale.

Questo legame preferenziale con la Francia, fa ancora oggi insorgere l’opposizione ogni volta che il presidente francese di turno manifesta vicinanza al Gabon.

È successo anche a inizio marzo scorso quando Emmanuel Macron è sceso a Libreville per il vertice internazionale dedicato alla preservazione delle foreste. I principali leader dei gruppi di opposizione, in una lettera del 10 gennaio al presidente francese, scrivevano che la sua visita sarebbe stata inevitabilmente interpretata come un “sostegno”, se non addirittura una “investitura”, al capo di stato, a pochi mesi dalle presidenziali. Macron ha negato, ma è un segreto di Pulcinella il sostegno perenne della Francia al sistema Bongo che si perpetua da 56 anni ormai…

Omar Bongo, per più di quattro decenni nocchiere assoluto del vascello gabonese, seppe ammassare una fortuna faraonica, ostentando ricchezza, con investimenti in tutti i settori dell’economia gabonese e all’estero. Senza contare un colossale patrimonio immobiliare sparso tra Libreville, la sua provincia originaria del Haut-Ogooué, Parigi e le colline di Nizza, cui vanno aggiunti miriadi di conti bancari, a volte nascosti in lontani paradisi fiscali. Senza contare imbarcazioni, aerei e macchine di lusso che non figurano da nessuna parte.

Personalizzazione del potere

Un documento dell’ottobre 2014 della direzione generale delle imposte del Gabon valutava il “patrimonio netto della successione” di Omar (53 erano gli eredi) a 550 milioni di euro circa. Ma, lo affermano gli stessi eredi, il tesoretto oscillerebbe tra i 3 e i 4 miliardi. Nel 2010, la giustizia francese aveva aperto una inchiesta sul patrimonio considerevole accumulato in Francia da Omar Bongo (e altri capi di stato africani, il famoso affare dei biens mal acquis). La giustizia francese lo ha valutato almeno in 85 milioni di euro.

Nei primi anni Novanta, a seguito del famoso discorso di Mitterrand a La Baule, anche Omar Bongo aveva avviato un contrastato processo di democratizzazione che condusse sì all’abolizione del sistema a partito unico, ma gli permise di mantenersi al potere vincendo le prime elezioni presidenziali multipartitiche nel 1993 e le due seguenti, di fronte a una opposizione friabile e divisa. Elezioni poi puntualmente contestate o seguite da violenze.

Morto di cancro all’intestino, l’8 giugno 2009, in una clinica di Barcellona, dopo quasi quarantadue anni di potere assoluto, il 16 ottobre 2009 gli succede il figlio Ali Bongo Ondimba, eletto l’agosto precedente in una elezione contestata: violenze postelettorali e saccheggi avevano colpito Port-Gentil, nell’ovest, provocando molti morti. Subito si manifesta la deriva autoritaria del nuovo presidente e il perpetuarsi della personalizzazione del potere ereditata dal padre.

Rieletto dunque nel 2016, nell’ottobre 2018 veniva colpito da un ictus e dato per morto dall’opposizione. Rientrato dopo mesi di convalescenza in Marocco, Ali Bongo si riprendeva progressivamente. I diversi governi voluti dal presidente hanno visto figure dell’opposizione prendervi parte, mentre Jean Ping ha continuato a rifiutare i risultati del 2016. Le legislative, previste inizialmente per dicembre 2016, si erano finalmente tenute nell’ottobre del 2018 e avevano visto una larga vittoria del Pdg (94 seggi su 133) e dei suoi alleati (una ventina di seggi).

Il 2023, anno elettorale, il 9 gennaio, a otto mesi dalle presidenziali, ha visto la nomina di un nuovo primo ministro, uno degli uomini più fedeli ad Ali Bongo, Alain Claude Bilie-By-Nze, più volte ministro negli esecutivi precedenti. Rimpiazza Rose Christiane Ossouka Raponda, nominata vicepresidente della repubblica, un posto vacante dal maggio 2019, la cui funzione è di “assistere” il capo di stato, senza però alcun ruolo ad interim in caso di vacanza del potere. La signora, ex sindaco della capitale Libreville, era primo ministro da luglio 2020.

Concertazione, però

Nonostante la mano tesa del presidente, le tensioni politiche rimangono palpabili. Il dialogo lanciato dal capo di stato, e tanto auspicato dai partiti dell’opposizione, si è effettivamente tenuto nella capitale Libreville dal 13 al 23 febbraio. Risultato? Giovedì 23 marzo, quasi una formalità, i deputati del parlamento, hanno votato (113 voci su 122) la futura riforma costituzionale. Il testo contiene delle novità: tutte le elezioni saranno a un solo turno, nessun limite di mandato, riduzione da 7 a 5 anni del mandato presidenziale.

In quei dieci giorni di concertazione politica, governo, maggioranza e opposizione avevano scambiato le loro idee in «un’atmosfera conviviale», tirando delle conclusioni che, secondo le parole di Louis-Gaston Mayila, presidente della coalizione PG41 – piattaforma composta di diversi gruppi e partiti politici radicali e moderati, tra cui i Democratici di Guy Nzouba Mdama, il Fronte di uguaglianza repubblicana (Fer) di Bonaventure Nzigou Manfoumbi e dell’Unione per la nuova repubblica (Unpr) dello stesso Mayila ‒  «vanno nel senso della pacificazione». E il primo ministro si è impegnato a fare il possibile per «garantire le condizioni necessarie al dialogo politico». Nessuno infatti vorrebbe rivivere la grave crisi seguita alla rielezione controversa di Ali Bongo Ondimba, oggi 64 anni, di cui 13 al potere.

Bisogna tuttavia riconoscere che il dialogo politico non è cosa acquisita, anzi. Alcuni leader dell’opposizione, infatti, come Paulette Missambro, presidente del partito dell’Unione nazionale (Un) e Alexandre Barro Chambrier, alla testa del Rassemblement per la patria e la modernità (Rpm) non hanno preso parte alla concertazione presidenziale. Al governo rimproverano sostanzialmente di non garantire la trasparenza delle elezioni e si chiedono dove realmente il presidente voglia arrivare con la politica della mano tesa. Per loro, le decisioni prese al termine della discussione non permettono di avanzare politicamente. Tutto rimane sospeso e c’è inquietudine per il futuro.

Nessuno dimentica poi che Ali Bongo, negli anni seguiti alla sua rielezione, non aveva di certo tenuto un atteggiamento conciliante con gli oppositori: Alain Djalluy e Hervé Mombo Kinga, vicini a Jean Ping, Marcel Libana, sindacalista, il giornalista Juldas Biviga… nel 2017 erano stati tutti chiamati a rispondere delle loro attività e avevano subìto violenze. Amnesty International denunciava che Juldas Biviga durante la sua detenzione era stato «riempito di botte» mentre Hervé Mombo Kinga, accusato di incitamento alla violenza e oltraggio al capo di stato, era stato tenuto in isolamento un mese e mezzo. Jean-Rémy Yama, presidente della Dinamica unitaria, il maggior sindacato gabonese, il 27 febbraio 2022 mentre si preparava a raggiungere Dakar per cure mediche, era stato fermato all’aeroporto di Libreville e, alcuni giorni dopo, veniva accusato di truffa in un affare di costruzione di alloggi per insegnanti e posto in detenzione alla prigione centrale della capitale. Questa la sorte riservata agli oppositori.

Elettori sfiduciati

I 7 anni del secondo mandato di Ali Bongo, percorso da troppe difficoltà politiche, hanno finito per minare la fiducia dei gabonesi nello stato, così come verso il sistema che lo regge: amministrazione, scuola, giustizia, polizia… Buttarsi allora tra le braccia dell’opposizione? Per gli elettori rimane una opzione difficile, soprattutto per la sua oggettiva incapacità a unirsi. E se non serra i ranghi, Ali Bongo risulterà rieletto alla grande.

Il 10 febbraio è stato eletto il nuovo direttivo del Centro gabonese delle elezioni (Cge). Il ministro degli interni ha installato Théophile Makita Nyembo (opposizione), come presidente della commissione ad hoc e Honorine Nzet Biteghe (maggioranza), alla testa del collegio speciale. La commissione ad hoc ha come scopo di ricevere i dossier di candidatura, mentre il collegio speciale è incaricato di organizzare le elezioni. Anche qui però non c’è stata la partecipazione di membri dell’opposizione che conta, in particolare di Pierre-Claver Maganga Moussavou del Partito sociale democratico (Psd), Jean Gaspard Ntoutoume Ayi dell’Unione nazionale (Un), e Jean Valentin Leyama, attuale segretario esecutivo del movimento Riappropriarsi del Gabon per la sua indipendenza (Réagir).

Che succederà all’indomani dei risultati delle presidenziali previste per agosto? C’è chi spera ancora in un governo di unità nazionale.

 

 

Copyright © Nigrizia - Per la riproduzione integrale o parziale di questo articolo contattare previamente la redazione: redazione@nigrizia.it