Gli affari sospetti di Eni in Congo - Nigrizia
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L’inchiesta della procura di Milano
Gli affari sospetti di Eni in Congo
Nei prossimi mesi la procura di Milano dovrà decidere se rinviare a giudizio Eni nell’ambito dell’inchiesta per presunta corruzione internazionale in merito alle sue attività in Congo. L’organizzazione Re:Common fa il punto sull’intricata vicenda
26 Novembre 2020
Articolo di Luca Manes (Re: Common)
Tempo di lettura 4 minuti
Eni Congo
L'ex ad dell'Eni Paolo Scaroni con il presidente congolese Denis Sassou Nguesso nel 2008 (Credit: espresso.repubblica.it)

La forte presenza dell’Eni in Africa porta con sé pesanti strascichi non solo sul fronte nigeriano, ma anche su quello congolese.

Re:Common ha provato a mettere ordine sull’inchiesta avviata nel maggio del 2016 proprio a seguito di un suo esposto, partendo dai protagonisti di quello che potrebbe essere un caso di corruzione internazionale in parte paragonabile alla vicenda della licenza Opl 245 nel Delta del Niger (il cui processo a Milano è ormai giunto alle battute finali).

È così nato Il caso Congo – gli affari dell’Eni nella Repubblica del Congo e i silenzi del governo italiano, il nuovo rapporto dell’associazione.

Come accennato, l’Eni è indagata per corruzione internazionale ai sensi della legge 231 del 2001, così come di corruzione internazionale sono accusati Roberto Casula, Maria Paduano, Andrea Pulcini, Alexander Haly ed Ernest Akinmade. Anche Claudio Descalzi e la moglie Marie Magdalena Ingoba sono sotto indagine, per “omessa comunicazione di conflitto di interessi”. Per la procura, società collegate alla signora Ingoba avrebbero beneficiato da contratti firmati con Eni per servizi forniti in Congo.

L’indagine della procura di Milano era partita da una società privata, la congolese Aogc (Africa oil and gas corporation), che nel novembre 2013 ha ottenuto quote tra l’8 e il 10 per cento di quattro giacimenti di petrolio controllati dall’Eni e situati nei blocchi Marine VI e VII. Per i magistrati milanesi, la Aogc sarebbe una sorta di “cassaforte” del presidente Denis Sassou Nguesso, al potere da oltre 40 anni e anch’egli e la sua famiglia oggetto di inchieste internazionali.

Intanto, come riportato da Il Corriere della Sera, lo scorso 10 settembre, la procura di Milano ha chiesto al Gip Sofia Fioretta che l’Eni sia interdetta per due anni dal produrre petrolio nei pozzi dei due blocchi congolesi, tutt’ora al centro dell’indagine per corruzione internazionale.

La procura ha richiesto in subordine un commissariamento dell’Eni nel paese, dal momento che i modelli organizzativi interni della società non avrebbero impedito che nel 2015, con l’allora capo dell’area sub-sahariana Roberto Casula, si operasse una corruzione internazionale nell’ambito del rinnovo di alcune licenze, parzialmente cedute alla società locale Aogc.  

Più nel dettaglio, questa storia alquanto ingarbugliata parte due anni prima, nel 2013, quando il controverso presidente Denis Sassou Nguesso, emette un provvedimento per far entrare le società del Congo-Brazzaville nel mercato petrolifero.

Al rinnovo delle concessioni, Eni e Total si ritrovano l’obbligo di cedere alcune quote a delle compagnie locali. Non alla società pubblica, Snpc, ma alla Aogc, compagnia privata che fa capo a Denis Gokana, per anni alla guida della stessa Snpc, poi diventato consigliere speciale di Nguesso per le questioni petrolifere. Due soci di Aogc sono pubblici ufficiali congolesi: Lydie Pongault, consigliere di Nguesso per la cultura, e Dieudonné Bantsimba, capo di gabinetto del ministero del Territorio.

L’Eni rinnova così quattro licenze estrattive nei campi petroliferi Marine VI e Marine VII per un totale di 400 milioni di dollari. Contestualmente, la compagnia italiana coinvolge una società locale, come imposto dalle nuove regole, cedendo quote comprese tra l’8 e il 10 per cento alla Aogc. A sua volta, Aogc cede il 23 per cento di un altro giacimento, Marine XI, per un valore di 23 milioni, a un’impresa sconosciuta: Wnr, World natural resources.

Nel 2015, lo schema si ripete: Eni ottiene, insieme a Total, il rinnovo del permesso di esplorazione Secteur Sud, ma sempre cedendo quote a compagnie indicate dal governo congolese, tra cui la Aogc.

Nel luglio del 2017, dopo circa un anno di indagini, scattano i primi avvisi di garanzia. La procura di Milano sospetta che, per ottenere i rinnovi dei permessi petroliferi, l’Eni abbia pagato mazzette camuffate da quote azionarie a pubblici ufficiali congolesi legati a Nguesso, “schermati” dalla Aogc. Nel corso del tempi sono spuntati vari soggetti legati direttamente o indirettamente a Eni, compresa la moglie, di origini congolesi, dell’attuale amministratore delegato.

Entro i primi mesi del 2021 le indagini saranno chiuse e si capirà se all’orizzonte c’è un ulteriore processo per la più importante multinazionale italiana. 

“La giustizia farà il suo corso, ma questo e altri procedimenti penali continuano a gettare un’ombra sull’attuale dirigenza di Eni, mettendo a rischio la reputazione della società simbolo dell’Italia intera nel mondo”, il commento di Antonio Tricarico di Re:Common. Sulla vicenda Congo i vari esecutivi succedutisi hanno tenuto un profilo a dir poco basso. Vedremo quale sarà la reazione di Palazzo Chigi in caso di ulteriori novità.

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