
Ceni. È una sigla che salta sempre fuori a ridosso delle elezioni nella Repubblica democratica del Congo. Significa Commissione elettorale nazionale indipendente e dovrebbe essere un organismo di garanzia di un corretto esercizio del voto nonché di un conteggio ineccepibile delle schede elettorali. Anche dal suo funzionamento dipende la qualità e l’inclusività dei processi democratici. Non meraviglia, quindi, che diventi spesso terreno di scontro politico.
Ha suscitato forti polemiche interne e preoccupazioni anche a livello internazionale il conteggio dei voti fatto in occasione delle elezioni del 2006, 2011 e 2018. In tutte e tre queste occasioni, non pochi partiti politici, le associazioni della società civile e anche i vescovi congolesi hanno contestato la veridicità dei dati forniti dalla Ceni. Le proteste sono state ignorate e quei dati, confermati poi dalla Corte costituzionale, hanno consentito al regime di Joseph Kabila di rimanere in sella in prima persona fino al 2018 e poi di spartire il potere con l’alleato Félix Tshisekedi.
Ma già si guarda alle elezioni generali del 2023 e sono iniziate le manovre per mettere le mani sulla Ceni. Anche perché i 13 membri della Commissione sono arrivati a fine mandato (sei anni, non rinnovabili) ed è necessario rimpiazzarli. Un compito delicato che chiama in causa anche le otto principali denominazioni religiose alle quali spetta il compito di designare il presidente della Commissione. Indicazione che deve essere poi ratificata dal parlamento e arrivare sul tavolo del presidente Tshisekedi che provvede alla nomina.
Ceni, guardiamoci dentro
Per comprendere perché la Ceni sia uno snodo non secondario della democrazia congolese è necessario soffermarsi – usufruendo anche delle informazioni della Rete pace per il Congo dei missionari saveriani – sui meccanismi di composizione e di funzionamento.
La Ceni, istituita da una apposita legge, è composta da 13 membri che prima di entrare in carica prestano giuramento davanti alla Corte costituzionale. Il presidente ha il rango di ministro e tutti gli altri componenti quello di viceministro. L’assemblea plenaria esprime il comitato di presidenza: presidente e vicepresidente, relatore e vicerelatore, questore e vicequestore.
Da dove arrivano questi 13 delegati? 6 sono espressi dalla maggioranza parlamentare, 2 devono essere donne (oggi la coalizione che fa capo a Joseph Kabila controlla sia la camera che il senato); 4 sono espressi dalla minoranza parlamentare/opposizione, 1 deve essere donna; 3 sono espressi dalle confessioni religiose, dalle organizzazioni femminili per la difesa dei diritti delle donne, dalle organizzazioni che promuovono l’educazione civica ed elettorale.
Dunque, dei 6 delegati della maggioranza parlamentare, 3 svolgono il ruolo di vicepresidente, vicerelatore e questore, e gli altri 3 fanno parte dell’assemblea plenaria. Dei 4 delegati della minoranza parlamentare, 2 ricoprono il ruolo di relatore e vicequestore, e gli altri 2 sono membri dell’assemblea plenaria; dei 3 delegati provenienti dalla società civile, 1 è di diritto presidente della Ceni e gli altri 2 fanno parte dell’assemblea plenaria.
Da aggiungere che le decisioni in seno alla Ceni vengono prese per consenso, cioè si cerca di trovare una direzione comune; se non si arriva al consenso si vota a maggioranza e, in caso di parità di voti, il voto del presidente pesa di più e determina questa o quella decisione.

I vescovi: prima la riforma elettorale
Si capisce allora perché in queste settimane si siano iniziati incontri tra le 8 maggiori denominazioni religiose per cominciare a scremare le candidature per un posto nella Ceni. Non un posto qualsiasi, visto che andrà a ricoprire la carica di presidente. È già uscito un nome, Ronsard Malonda, che è segretario esecutivo della Ceni uscente e da 15 anni lavora nella Commissione. Lo hanno proposto la Chiesa kimbanguista, la Comunità islamica, le Chiese indipendenti del Congo, la Chiesa del risveglio del Congo, la Chiesa ortodossa e l’Esercito della salvezza. Non sono d’accordo su questa figura la Chiesa cattolica e la Chiesa di Cristo in Congo (protestanti).
Secondo le 6 denominazioni favorevoli a Malonda, ci sarebbe stata una votazione che ha posto in minoranza le Chiese cattolica e protestante. E in seguito a quella votazione è stato fatto arrivare al parlamento il documento per la ratifica. Ma è controverso come si sia svolto il dibattito e la validità dell’eventuale votazione.
Netta la posizione di padre Donatien Nshole, segretario generale della Conferenza episcopale congolese (Cenco) che in occasione del voto del 2018 aveva fortemente criticato l’operato della Ceni: «Ci opponiamo con tutte le forze perché sarebbe una scelta a favore della continuità del sistema attuale. Ronsard Malonda è tra i responsabili della strumentalizzazione e della manipolazione delle ultime elezioni, di cui il popolo sta ancora pagando le conseguenze».
Padre Nshole detta anche un’agenda diversa: «Secondo la Cenco occorre dare priorità alla riforma elettorale che dovrà prendere in considerazione anche il modo di designare i membri della Ceni. Prima deve essere attuata la riforma elettorale e poi indicati i membri della Ceni».