
Non è creando realtà amministrative ad hoc per i congolesi di origine rwandese e di etnia tutsi (banyamulenge) che si ottiene la pace nel nordest della Repubblica democratica del Congo, al contrario si agevola la “balcanizzazione” del paese; è necessario invece tenere aperto il dialogo e imparare a vivere tutti insieme. È il messaggio che il vescovo di Uvira (Sud Kivu), mons. Sébastien-Joseph Muyengo Mulombe, ha inviato alle autorità e agli abitanti della regione.
In una lunga dichiarazione, il prelato si interroga sulla scelta, avvenuta il 28 settembre, di conferire autorità amministrativa al comune rurale di Minembwe e di dotarlo di un territorio assai più vasto di quello degli altri comuni rurali. Da notare che l’area destinata al comune è ricca di minerali, in particolare di oro.
Mons. Muyengo parla al plurale: «Per noi cittadini congolesi, il comune di Minembwe è l’ultima trovata – dopo lo scacco subito (oltre vent’anni fa, all’epoca della seconda guerra del Congo, ndr) dal Raggruppamento congolese per la democrazia (Rdc), di obbedienza rwandese all’epoca – per creare un territorio per i nostri fratelli banyamulenge. Ieri era una questione di nazionalità, oggi è una questione di terra. Ma se si può attribuire la nazionalità a chi la domanda e la merita, non si può distribuire la terra a qualsiasi condizione. Così le nostre popolazioni ritengono si tratti non di un comune rurale ma di “terre o territori occupati”. E ciò costituisce un’umiliazione per la gente della regione».
E rincara: «Nei giorni in cui celebriamo il decimo anniversario del Rapporto mapping delle Nazioni Unite (pubblicato il 1° ottobre 2010) sui massacri perpetrati nel nostro paese senza che gli autori siano mai stati perseguiti, ci si ricorda in tutta la regione del sangue versato a causa del problema delle terre. Alla cerimonia era presente anche l’ambasciatore della più grande potenza del mondo, sotto il vessillo delle Nazioni Unite. E ciò dà ragione a coloro che parlano di un complotto internazionale contro il nostro paese».
Il complotto, cui accenna il vescovo senza entrare nel merito, è che ci sia un’agenda internazionale segreta (ma piuttosto scoperta a detta degli abitanti del Sud Kivu e da non pochi osservatori internazionali) che favorisce la disgregazione del nordest dell’Rd Congo: un’agenda che agevola, tra l’altro, l’espansione del Rwanda nel territorio congolese.
Domande cruciali
Sempre riflettendo a voce alta «insieme alla nostra gente», mons. Muyengo pone alcune domande alla politica e alle istituzioni «Che cosa dice il presidente Félix Tshisekedi a questo riguardo? Questa faccenda del comune di Minembwe costituisce un test per il capo dello stato. Per capire se governa “innanzitutto per il popolo” o per coloro che l’hanno piazzato sul trono per servirsi di lui. Noi temiamo che se lascia passare il caso di Minembwe, il processo di smembramento del paese venga attuato con la sua complicità». Il presidente Tshisekedi, nel corso di una conferenza stampa ieri a Goma, capoluogo del Nord Kivu, ha annunciato di aver annullato l’intera operazione del comune di Minembwe.
Il vescovo di Uvira non è tenero nemmeno con i parlamentari (le due camere sono controllate dagli uomini dell’ex presidente Joseph Kabila): «Che cosa dicono i deputati e i senatori eletti in questi territori? Dov’erano quando questa decisione è stata votata in parlamento, se è stata votata? In ogni caso, persistendo questa situazione, solo dimettendosi proveranno che non sono complici».
E chiede ancora: «Essendo la terra sacra in Africa e in Rd Congo ed essendone proprietari legittimi i capi tradizionali (lo stato ha il potere di gestire in base a un’apposita legge), sono stati consultati i capi tradizionali?».
È operante nell’area dal novembre 1999 una forza di peacekeeping di oltre 18mila uomini – tra civili e militari -, la Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione (Monusco). «Dall’Onu e dal suo Consiglio di sicurezza che cosa possiamo ancora attenderci?», incalza il vescovo consapevole di toccare un tasto delicato, in quanto la Monusco è stata spesso tacciata di immobilismo.
Infine un pensiero ai congolesi di origine rwandese e di etnia tutsi: «Che cosa dicono i nostri fratelli banyamulenge del cammino di dialogo per la pace che abbiamo intrapreso in questi anni? Possiamo vivere nella pace, gli uni a fianco agli altri, in questo grande bel paese che Dio ci ha donato senza che ciascuno marchi il proprio territorio».