
Non sono passati due anni dalle elezioni che hanno portato alla presidenza Félix Tshisekedi e già l’alleanza di governo con l’ex presidente Joseph Kabila scricchiola da tutte le parti. Si tratta di un’alleanza che nasce da un furto ai danni dei congolesi: il voto di fine 2018 è stato palesemente contraffatto – lo hanno affermato senza mezzi termini le tante associazioni della società civile che hanno monitorato le urne e anche la Conferenza episcopale congolese – e questo ha impedito la vittoria alla coalizione di Martin Fayulu.
Ora i nodi stanno arrivando al pettine. Questo assetto non riesce a governare e Thsisekedi ha tastato il polso ai partiti, alla società civile, ai responsabili religiosi e alla forze armate. Nigrizia ha chiesto Mimie Engumba, giornalista di Kinshasa che lavora alla testata online depeche.cd ed è un’attenta osservatrice della politica congolese, quali possono essere le prossime mosse del presidente.
È corretto affermare che il presidente Félix Tshisekedi ha aperto le consultazioni nazionali, lo scorso novembre, come extrema ratio quando si è accorto di essere “prigioniero” del suo alleato Joseph Kabila?
Effettivamente, è quello che sembra. Il presidente ha dato l’impressione di aver cercato il parere del “popolo” per liberarsi dell’alleanza che lo lega al campo di Joseph Kabila. Diversamente, questa iniziativa – che non è troppo vantaggiosa per il capo dello stato, privo di una maggioranza parlamentare – sembrerebbe quasi l’ennesima rinuncia a un impegno assunto. E ciò gli darebbe l’etichetta dell’attore politico che non rispetta i suoi impegni. Con il risultato di perdere la sua aura…
L’opinione pubblica congolese come ha valutato queste consultazioni? Le ha comprese? Le ha seguite con interesse? Coltiva qualche aspettativa? Oppure le considera semplici “manovre di palazzo” che non porteranno a nulla di buono?
La popolazione, come del resto gli attori politici, si lamenta del mancato miglioramento della situazione sociale. E continua a deplorare il fatto che il capo dello stato è ostaggio del precedente regime. Quanto alle attese, ci sono pareri divergenti. Taluni sperano in una conclusione positiva delle consultazioni, cioè che sanciscano la rottura dell’alleanza tra il Fronte comune per il Congo (Fcc) di Kabila e Verso il cambiamento (Cach) di Tshisekedi.
In questo caso il capo dello stato avrà campo libero per consolidare la sua visione politica e migliorare la vita quotidiana dei congolesi. Altri invece considerano le consultazioni già fallite perché non consentono margini di manovra a Tshisekedi. Per questi ultimo il presidente non ha fatto altro che prendere tempo.
Il presidente Tshisekedi accusa il suo alleato Kabila di impedirgli di fare le riforme, tra cui quella elettorale. Ma c’è qualcuno nel paese che ricorda a Tshisekedi che l’alleanza che ha fatto con Kabila (quell’alleanza che ha falsificato il risultato delle elezioni di fine 2018, vinte da Martin Fayulu) è un mostro istituzionale? Perché ha previsto un presidente senza maggioranza parlamentare e quindi senza la possibilità di esercitare le sue funzioni!
Molte personalità sia dell’Unione per la democrazia e il progresso sociale (Udps), il partito di Tshisekedi, sia dell’opposizione vicina a Moïse Katumbi hanno sollecitato Tshisekedi a porre fine al più presto alla coalizione con l’Fcc. La definiscono suicida. E ritengono che affidare la presidenza del paese a Tshisekedi e intanto controllare sia il parlamento che il governo altro non sia che un regalo avvelenato di Kabila. Quanto alle riforme elettorali, sono molto attese. Ma sono oggetto di uno scontro permanente, perché controllare la Commissione elettorale e la Corte costituzionale significa allungare le mani sulla vittoria alle prossime elezioni.
I due contendenti, Tshisekedi e Kabila, guardano già alle elezioni presidenziali del 2023. Per questo motivo c’è stata battaglia per il controllo della Corte costituzionale (che ha l’ultima parola sugli esiti del voto) e per accaparrarsi la Commissione elettorale. La Conferenza episcopale, in un messaggio di metà ottobre, ha pronosticato che le elezioni del 2023 slitteranno come è già avvenuto con quelle del 2016 che si sono svolte nel 2018. Hanno ragione i vescovi?
I vescovi hanno ragione nella misura in cui la crisi economica aggravata dal Covid-19 non consente una efficace attivazione delle entrate dello stato: la quota di budget riservata alle elezioni risente di questo shock, come del resto gli altri settori. Un deputato, Henri-Thomas Lokondo, ha rimarcato che il bilancio 2021 non ha previsto la parte relativa alle elezioni. Ciò lascia concludere che le elezioni non potranno aver luogo nel 2023. E a parte questo, la riforma elettorale, una volta avviata, avrà bisogno di un tempo ragionevole per essere condotta in porto.
Ambienti vicini a Félix Tshisekedi affermano che il presidente – attraverso il budget riservato alla presidenza della repubblica – paghi 5000 guardie incaricate di proteggere Kabila e i suoi beni. Risulta anche a lei?
Non credo sia vero. Il capo dello stato eredita una situazione legale e ufficiale. Tutti i vantaggi dovuti a Joseph Kabila sono previsti dalla legge che riguarda lo status di un ex capo di stato. E questa legge, votata mentre era al potere Kabila, gli accorda molto di più. Il legislatore ne è cosciente.
Abbiamo davanti tre scenari principali. 1) Tshisekedi non riesce a reclutare nuovi parlamentari e a cambiare i rapporti di forza in parlamento. Dunque è costretto a continuare l’alleanza con Kabila. Chiaro che Tshisekedi arriverebbe al voto del 2023 indebolito. 2) Tshisekedi scioglie l’assemblea nazionale, ma per farlo o trova un accordo con il primo ministro (la Costituzione prevede le due firme) che però è uomo di Kabila oppure forza la Costituzione e chiama il paese a elezioni legislative immediate (entro 60 giorni dallo scioglimento dell’assemblea nazionale). 3) Sia gli alleati Tshisekedi e Kabila sia le opposizioni che sono state consultate trovano un accordo per arrivare al voto legislativo. L’accordo si fonda sulle riforme strutturali (compresa quella elettorale) indispensabili da attuare prima di sciogliere il parlamento. Quale ritiene più probabile?
Credo che sia attuabile il secondo scenario perché Tshisekedi ha già mostrato i muscoli: ha promesso e ha minacciato, e ora deve andare fino in fondo. Se non lo farà, perderà la sua credibilità. E poi attualmente la maggioranza parlamentare è controversa. Nessuno dei due campi è certo di poter prevalere.