Nigeria. Chibok, sei anni dopo - Nigrizia
Armi, Conflitti e Terrorismo Nigeria
Nigeria. Chibok, sei anni dopo
18 Febbraio 2020
Articolo di Marco Cochi
Tempo di lettura 5 minuti
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Scampate a Boko Haram
La notte tra il 14 e il 15 aprile 2014 un commando di Boko Haram assaltò un liceo femminile nel nord-est della Nigeria, sequestrando 276 studentesse. Quasi sei anni dopo, 112 ‘ragazze di Chibok’ restano nelle mani dei terroristi. Un’inchiesta del National Geographic ha rintracciato alcune delle 164 liberate o fuggite alla prigionia, per capire che ne è stato di loro.

Sono trascorsi quasi sei anni da quando i miliziani di Boko Haram rapirono 276 studentesse che frequentavano un liceo del villaggio di Chibok, nello Stato di Borno, nel nord-est della Nigeria. Un sequestro che suscitò l’indignazione di tutto il mondo, culminata con il lancio della campagna digitale su Twitter #‎BringBackOurGirls (Restituiteci le nostre ragazze), che raccolse centinaia di migliaia di sostenitori.

Dopo tutto questo tempo, molte delle ragazze sequestrate a Chibok non hanno fatto ritorno a casa. Lo scorso 13 febbraio, in un video, lo storico leader di Boko Haram Abubakar Shekau, ha elencato le condizioni per il loro rilascio, chiedendo in cambio la liberazione immediata di tutti i suoi seguaci detenuti nelle carceri nigeriane.

Il filmato è stato postato in rete all’indomani della visita del presidente nigeriano Muhammadu Buhari a Maiduguri, capitale dello stato di Borno, da luglio 2009 epicentro del conflitto tra il gruppo jihadista e le forze di sicurezza nigeriane. La richiesta di Skekau, che sicuramente verrà rispedita al mittente, riaccende i riflettori sul sequestro delle 276 studentesse, la notte tra il 14 e il 15 aprile 2014, e sulla diversa sorte che molte di esse hanno avuto.

Attualmente, 112 ragazze sarebbero ancora nelle mani dei terroristi, mentre 57 riuscirono a fuggire subito dopo il blitz dei terroristi e 21 sono state liberate nell’ottobre 2016, in seguito alla mediazione della Svizzera e della Croce Rossa Internazionale. Nel corso degli anni, 4 sono riuscite a fuggire dalla foresta di Sambisa, dov’erano tenute prigioniere. Una di loro, Amina Ali, ha portato con sé il suo bambino. Altre 82 sono state invece rilasciate nel maggio 2017, nell’ambito di un controverso scambio di prigionieri tra il governo di Abuja e i terroristi.

Nei giorni immediatamente successivi al quarto anniversario del rapimento, il giornalista nigeriano Ahmad Salkida, che nel 2017 ha partecipato alle trattative con Boko Haram per la liberazione delle studentesse, ha affermato che soltanto una trentina delle 112 ragazze di Chibok ancora prigioniere sarebbero ancora in vita. Il reporter ha specificato che molte sono state utilizzate come scudi umani e sono morte a causa dei bombardamenti delle forze di sicurezza nigeriane che tentavano di liberarle.

Secondo quanto emerso dalle testimonianze delle ragazze rilasciate o fuggite, i militanti di Boko Haram sfruttano sessualmente e schiavizzano le giovani rapite. Molte delle ragazze di Chibok che sono riuscite a sottrarsi a questo infausto destino si sono rifatte una vita e un’inchiesta del National Geographic, pubblicata alla fine di gennaio, ha rintracciato alcune delle giovani per capire come stanno affrontando la quotidianità.

Centotrenta delle sopravissute al sequestro, tra cui Awa Abuga, Glori Aji, Mwada Baba, Yana Joshua, Kume Ishaku e Grace Paul, hanno seguito o stanno seguendo il programma accademico NFS (New Foundation School) per prepararsi a essere ammesse alla prestigiosa Università Americana della Nigeria (AUN). 

Le ragazze sono alloggiate in un campus nei pressi di Yola, capitale dello stato di Adamawa, nella Nigeria nord-orientale. La struttura è sorvegliata dall’esercito perché Boko Haram – movimento nato con l’intento di istituire una società basata sulla sua visione radicale dell’islam che rifiutava l’educazione e gli aspetti dello stile di vita occidentale – ha giurato che le avrebbe uccise, se fossero tornate a scuola.

I ricercatori del National Geographic sono riusciti a contattare Patience Bulus, una delle ragazze che riuscirono a fuggire la notte del blitz dei terroristi. Patience trascorse l’estate dopo il rapimento nel suo villaggio di Askira, ascoltando musica gospel e arrivando all’amara conclusione che l’irruzione dei jihadisti nel liceo di Chibok avrebbe posto fine alla sua istruzione.

La giovane fu più volte intervistata per sapere cosa era successo quel maledetto 14 aprile e alla fine per Patience ripercorrere sempre i tragici fatti di quella notte era diventato estenuante. Così la ragazza, insieme a altre nove ex compagne di sventura, ha accettato un’offerta di studio negli Stati Uniti, nonostante la ritrosia dei suoi genitori. Poi, nel 2018, Patience è tornata in Nigeria per riabbracciare la sua amica del cuore, Esther Joshua, una delle 82 studentesse liberate nel maggio 2017.

Mary K., che ha chiesto di mantenere l’anonimato, riuscì a fuggire il giorno dopo il rapimento e arrivò nel campus di Yola nel 2014, senza sapere una parola d’inglese. Dopo due anni è stata ammessa all’AUN e una volta alla settimana fa da tutor a un gruppo di studenti del programma NFS, per aiutarli a superare i tre test per l’ammissione all’Università americana. Quest’anno Mary trascorrerà un semestre formativo a Roma.

Patience, Mary K., Ester e molte altre sono riuscite a riprendere in mano la loro vita, ma non tutti i sopravvissuti e le sopravvissute all’insurrezione di Boko Haram hanno avuto la stessa possibilità. Nello stato di Borno le lezioni sono state sospese per due anni e nei due vicini stati di Yobe e Adamawa sono state distrutte circa 500 scuole, altre 800 sono state chiuse e oltre 2mila insegnanti sono stati passati per le armi. 

Nella foto: una delle 82 ragazze liberate il 7 maggio 2017, al momento dell’incontro con la sua famiglia. (Credits: Ofeibea Quist-Arcton / NPR)

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