Un altro brutto segnale. È così che deve essere interpretato il Premio internazionale per la libertà di stampa attribuito a Matias Guente, giovane ma già esperto giornalista mozambicano, da parte della giuria del Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), con sede a New York. Insieme a Guente, altri tre giornalisti – di Bielorussia, Guatemala e Myanmar – sono stati insigniti dello stesso premio.
Bielorussia e Myanmar sono da tempo tra i paesi a minor tasso di libertà nel mondo, come sottolineato dal rapporto annuale di Freedom House, mentre il Myanmar è precipitato a febbraio in un colpo di stato che ha portato al potere un manipolo di militari, i quali hanno chiuso diversi organi di informazione e imprigionato alcuni giornalisti del gruppo Voce democratica della Birmania, fondato dal premiato Aye Chan Naing.
Il segnale per il Mozambico, quindi, è pessimo, visto che il paese si trova, di fatto, equiparato, in termini di qualità della democrazia e di rispetto per il diritto all’informazione, a stati considerati fra i più totalitari e intolleranti. Una situazione impensabile soltanto fino a pochi anni fa.
Il premio a Matias Guente riveste un profondo significato politico di condanna del Mozambico e del suo approccio all’informazione. Un approccio che è peggiorato con il protrarsi del conflitto armato a Cabo Delgado, che ha determinato l’espulsione di diversi giornalisti stranieri, nonché l’arresto o addirittura la scomparsa di giornalisti locali, attivi nelle radio comunitarie.
Al danno (di imagine) deve però aggiungersi anche la beffa. Matias Guente è infatti considerato il giovane giornalista più lontano dal partito al potere, il Frelimo, e il settimanale di cui è direttore, Canal de Moçambique, è valutato pericoloso dall’attuale regime. Il giornale è stato fondato ed è di proprietà di Fernando Veloso, un mozambicano di origini portoghesi che ha diretto vari altri organi prima del Canal, tutti con una linea editoriale chiaramente ed esplicitamente anti-governativa.
Si ricordi, per esempio, il processo che dovette subire, da direttore del settimanale Zambeze, quando provò, documenti alla mano, che l’allora prima ministra, Luísa Diogo, aveva la doppia nazionalità (portoghese oltre che mozambicana), condizione non consentita dalla legge e in grado di farla decadere immediatamente.
Matias Guente è degno allievo di Fernando Veloso. Da lui ha imparato il puntiglio di andare a fondo delle questioni, di non limitarsi a semplici dichiarazioni di facciata ma di mettere il lettore nelle condizioni migliori per comprendere che cosa c’è dietro a questa o quella scelta politica, dietro a questo o quello scandalo, senza fare sconti a nessuno.
La comune origine di Beira, nella provincia di Sofala, centro del Mozambico, poi, ha fatto il resto. Una coppia assai affiatata e capace di raccogliere ed elaborare informazioni, esprimendo le proprie idee in editoriali e articoli di opinione.
Mai allineato
Lo ricordo come allievo del corso di giornalismo presso la Scuola di comunicazione e arte dell’Università Eduardo Mondlane, dove ho insegnato per sei anni. Ricordo un brillante e poverissimo studente che non si allineava con la maggior parte dei suoi colleghi, filo-governativi, portandomi piccoli pezzi giornalistici che tentava di pubblicare in una qualche testata locale, con alterni successi. Poi l’incontro con Veloso gli ha cambiato la vita.
Soprattutto negli ultimi anni, Guente ha rappresentato la spina nel fianco del governo per il tipo di attenzione che Canal de Moçambique ha scelto di tenere riguardo al maggior scandalo finanziario della storia del paese: 2,2 miliardi di dollari in teoria destinati a rafforzare la difesa marittima e in realtà trasformatisi in una gigantesca tangente che ha finito per coinvolgere e arricchire un po’ tutti i potentati locali, da politici a uomini di affari, per finire coi vertici dell’intelligence.
È stato questo il tema che Guente e Canal de Moçambique hanno trattato con maggiore efficacia e pertinacia negli ultimi anni, esasperando a tal punto il Frelimo da subire processi, attentati (un tentativo di rapimento alla fine del 2019) e l’incendio della sede in centro a Maputo all’inizio del 2020. Episodi, questi ultimi, che, a causa della latitanza della magistratura, non possono essere formalmente attribuiti al governo o a suoi emissari. Ma i sospetti sono forti.
La coerenza e il coraggio di Guente, oltre che la sua capacità giornalistica, esercitata sia in forma diretta che come maestro d’orchestra di redazione, fanno passare sotto traccia alcuni scivoloni: per esempio, l’aperta posizione negazionista assunta di fronte al Covid-19.
Dunque, la situazione dell’informazione rimane preoccupante. E preoccupa anche l’imminente approvazione di una nuova legge sulla stampa da parte del parlamento.