
Dal 2017 Cabo Delgado, regione a Nord del Mozambico, è travolta dalle violenze causate da gruppi armati non sempre facili da identificare e che hanno provocato oltre 200.000 sfollati negli ultimi 16 mesi. Da un lato i jihadisti islamici, per alcuni testimoni vicini all’Isis (gruppo dello Stato Islamico), dall’altro l’esercito mozambicano malpagato e impreparato per controllare il territorio.
In questi ultimi giorni la situazione nella regione è notevolmente peggiorata, anche perché il gruppo jihadista si è rafforzato attraverso notevoli capacità organizzative e l’accesso privilegiato al traffico di armi. Questo ha permesso loro di prendere il controllo strategico del porto di Mocimboa da Praia a soli 80 khilometri dai ricchi giacimenti di gas e petrolio, loro vero obiettivo.
Il porto gioca infatti un ruolo chiave per il transito di merci e delle preziose ricchezze del sottosuolo. Ma in quest’area la minaccia jihadista si scontra con gli interessi dei colossi multinazionali Total, Eni e Exxonmobil che gestiscono il più grande progetto energetico in Africa, vitale per l’economia mozambicana e di diversi altri paesi, del valore di 60 miliardi di dollari. Mentre il governo del paese sceglie la linea del segreto e della militarizzazione.
Nigrizia ha contattato sul posto padre Andrea Facchetti, giovane missionario saveriano, che spiega le dinamiche di questi scontri nelle ultime ore dentro uno scenario altamente esplosivo per il futuro del paese: