Somalia: la lotta al terrorismo e l’incognita ATMIS - Nigrizia
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Il governo rafforza il contrasto ad al-Shabaab e Stato Islamico, mentre si riduce il sostegno militare
Somalia: la lotta al terrorismo e l’incognita ATMIS
La chiusura della missione africana, il cui ritiro progressivo è iniziato a giugno, rappresenta probabilmente oggi la più importante sfida per il governo, impegnato da oltre un anno nel contrasto ai gruppi jihadisti che ancora controllano ampie aree del territorio
25 Settembre 2023
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 6 minuti
Militari somali

Tra le informazioni che arrivano dalla Somalia, paese da decenni tormentato da innumerevoli crisi e problemi, sono ancora preminenti quelle che riguardano le attività del gruppo terroristico al-Shabaab, affiliato ad al-Qaida.

L’ultima, il 24 settembre, descrive il massacro di almeno 18 persone, in gran maggioranza civili, per l’esplosione di un’autobomba al check point di un’area residenziale in una cittadina della Somalia centrale.

Di pochi giorni fa è invece la notizia di un vero e proprio atto di guerra. Riguarda l’imboscata a due convogli del contingente etiopico della missione di pace ATMIS (Missione transitoria dell’Unione africana in Somalia).

Le vittime tra i militari etiopici sono state numerose. Secondo il sito di informazione somalo Garowe Online, i morti sarebbero almeno una cinquantina. Più di 160 secondo la rivendicazione di al-Shabaab, riportata dal sito di informazione turco Anadolu – di solito molto ben informato su quanto avviene nel paese – che, per la verità, aggiunge che il numero è probabilmente esagerato, ma non troppo.

Si tratta in ogni caso di uno scontro e di perdite importanti e di un continuo attacco alla popolazione mentre la missione di pace si sta assottigliando.

2mila dei circa 20mila uomini sono partiti lo scorso giugno. Sono già iniziati i preparativi per il ritiro di altri 3mila, inizialmente previsto per la fine di questo mese.

Il governo somalo, però, ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell’ONU il rinvio di almeno tre mesi, alla luce degli ultimi gravissimi episodi. Non è chiaro, per ora, se sarà richiesto di riconsiderare anche le altre tappe concordate che avrebbero dovuto portare alla chiusura della missione entro la fine del 2024.

L’Unione africana e il Consiglio di sicurezza dell’ONU presuppongono, infatti, che, per quel momento, l’esercito nazionale somalo dovrebbe essere in grado di garantire la sicurezza e il controllo del territorio del paese.

In effetti, il governo di Mogadiscio ci sta provando. L’anno scorso il presidente, Hassan Mohamud, aveva lanciato personalmente una campagna militare contro al-Shabaab in due regioni centrali del paese, Mudug and Galgaduud, dove il gruppo qaidista ha la sua roccaforte.

L’operazione, supportata da milizie di clan locali, dalle truppe dell’ATMIS e da droni americani e turchi, è ripresa con nuovo vigore nelle scorse settimane.

Per indebolire il gruppo, il governo somalo ha cercato anche di isolarlo, guadagnandosi l’appoggio di leader religiosi di diversi gruppi islamici e ha dichiarato un’amnistia per tutti coloro che abbandoneranno la lotta armata.

Sembra che nelle ultime settimane almeno un centinaio di miliziani si siano dissociati dal gruppo terroristico.

La campagna ha fatto indubbiamente registrare qualche successo, ma anche diverse battute d’arresto, con atti clamorosi, come appunto i due episodi citati sopra.

Inoltre non si è interrotto lo stillicidio di attentati che quasi quotidianamente fanno vittime, in particolare tra funzionari governativi, forze di sicurezza, pattuglie per il controllo del territorio, ma anche tra i civili.

Non solo al-Shabaab

The Somali Wire, il bollettino pubblicato regolarmente dal centro studi Sahan, ne registra diversi su ogni numero, in tutto il paese.

E, a quanto pare, al-Shabaab non è più il solo gruppo terroristico a minacciare la sicurezza del paese.

Il numero 589 di The Somali Wire, pubblicato lo scorso 8 settembre, dedica un articolo di approfondimento alle condizioni del gruppo Stato Islamico – ISS, conosciuto anche come Da’esh – in Somalia.

Oltre il Puntland. Lo Stato Islamico in Somalia, si intitola il pezzo. Il gruppo, nato nel 2015 da una scissione di al-Shabaab, ha sempre avuto la sua roccaforte nella provincia di Bari, nella regione autonoma del Puntland, la più settentrionale del paese. Ha ottenuto l’affiliazione ufficiale allo Stato Islamico nel 2017.

Nelle prime righe l’articolo racconta che a Bosaso, che con i suoi 700mila abitanti è la città più importante del Puntland, diversi esercizi commerciali hanno chiuso i battenti per sottrarsi al pizzo imposto dall’ISS, dopo che un negozio che aveva rifiutato di pagare era stato distrutto da una granata. 

L’estorsione ha raggiunto una tale diffusione che lo scorso 23 agosto la comunità dei commercianti di Bosaso ha chiesto un incontro sul tema alle autorità cittadine.

Questo genere di ricatto è cominciato subito dopo l’affiliazione a Da’esh, nel 2017. Allora il gruppo imponeva una “tassa” pari allo 0,25% sui proventi e si calcola che avrebbe potuto aver riscosso circa 700mila dollari nel primo anno di applicazione del taglieggio.

Nel 2022, secondo il Dipartimento di stato americano, il pizzo potrebbe averne fruttati 2 milioni, 500 mila in più dell’anno precedente. Un chiaro segno dell’espansione e del rafforzamento della rete di estorsione.

ISS ha anche cercato di estendere il suo raggio d’azione fuori dal Puntland, raggiungendo anche la capitale somala, Mogadiscio. Per ora, però, dice l’articolo, non ha avuto successo. Inoltre non può ancora in nessun modo competere con al-Shabaab. Stime attendibili dicono che ISS non avrebbe più di 200/250 uomini, contro i 10mila del gruppo rivale.

Ѐ interessante, tuttavia, cercare di capire chi potrebbero essere i suoi miliziani.

Alla fine di giugno 12 si sono consegnati alle forze di sicurezza del Puntland. Sei erano stranieri, 3 sudanesi e 3 etiopici. In aprile il Kenya aveva fermato tre persone che, dalla contea di Isiolo avevano programmato di raggiungere il Puntland per unirsi all’ISS.

Il gruppo, pur così limitato per ora, ha dunque una capacità di attrazione nei paesi della regione.

Questo è sicuramente preoccupante, soprattutto se si considera che la missione di pace si prepara a chiudere i battenti, di fatto scaricando il peso della sicurezza sugli eserciti dei paesi dell’area e su quello somalo che, secondo le valutazioni degli esperti, dovrà essere supportato ancora prima di diventare completamente autonomo.

Lo dice lo stesso capo dell’ATMIS, il generale ugandese Sam Okiding: «Uno dei nostri compiti chiave è quello di essere sicuri di guidare le forze di sicurezza somale, così che, quando usciremo dalla Somalia, non ci sarà un vuoto nella sicurezza».

Ѐ esattamente quello che temono diversi osservatori che cominciano a far paragoni con l’uscita americana dall’Afghanistan. Uno, autorevole, è Abdisalam Yusuf Guled, ex vicecapo delle forze di sicurezza somale e fondatore di una compagnia di sicurezza privata operante a Mogadiscio.

Commentando la chiusura della missione di pace, ha detto: «Sono molto preoccupato dal fatto che la Somalia potrebbe essere un altro Afghanistan se le truppe dell’Unione africana lasceranno il paese senza che la Somalia abbia forze di sicurezza forti e ben armate».

La chiusura dell’ATMIS sembra dunque essere ancora una sfida che speriamo non venga giocata sulla pelle dei somali e dei cittadini degli altri paesi della regione.

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