Sudan: Hamdok e i leader di Tagadum messi sotto accusa
Armi, Conflitti e Terrorismo Sudan
I militari al potere annunciano l’avvio di procedimenti giudiziari per crimini che comportano la pena di morte
Sudan: l’ex primo ministro Hamdok e i leader di Tagadum messi sotto accusa
04 Aprile 2024
Articolo di Redazione
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Stretta di mano tra il leader delle RSF Hemeti (a sinistra) e Hamdok dopo la firma della Dichiarazione di Addis Abeba il 1° gennaio 2024. (Credit: piattaforma X)

Il governo militare che mantiene il potere in Sudan grazie anche al sostegno dell’Iran e del movimento islamista interno legato al deposto dittatore Omar El-Bashir appare sempre più determinato a tagliare ogni possibilità di dialogo per mettere fine alla guerra civile, in corso da ormai quasi un anno.

È di ieri l’annuncio dell’avvio di un procedimento penale contro l’ex primo ministro Abdallah Hamdok, capo della coalizione pro-democrazia Tagadum, e altre 15 persone, tra cui giornalisti e leader dei partiti politici che aderiscono alla coalizione pacifista – tra questi anche Yasir Arman (SPLM-N) che Nigrizia ha intervistato di recente -.

Le accuse nei loro confronti paiono surreali, visti gli sforzi che da mesi il Coordinamento delle forze civili e democratiche sta compiendo per portare a una cessazione delle ostilità. Queste includono incitamento alla guerra contro lo stato, indebolimento dell’ordine costituzionale e crimini contro l’umanità. Tutte accuse che potrebbero comportare la pena di morte, ancora applicata nel paese.

Non sembra casuale che l’annuncio della messa in stato d’accusa dei vertici di Tagadum sia stato fatto mentre ad Addis Abeba è in corso un vertice del movimento, accusato dai comandanti delle Forze armate sudanesi (SAF) di sostenere il nemico, ovvero i paramilitari Forze di supporto rapido (RSF).

L’accusa è legata all’incontro, avvenuto il 1° gennaio scorso sempre nella capitale etiopica, tra il movimento e il capo delle RSF Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti, e alla firma della cosiddetta Dichiarazione di Addis Abeba, nella quale i paramilitari si erano impegnati a garantire accesso agli aiuti nelle aree da loro controllate e a creare le condizioni per il ritorno dei civili sfollati. Impegni peraltro rimasti sulla carta.

Anche perché nel frattempo è scattata in Sudan la controffensiva dell’esercito, potenziato militarmente dalle forniture di armi e droni iraniani.

Il capo delle SAF e del governo, Abdel Fattah al-Burhan, ha dunque rigettato il memorandum d’intesa firmato dal nemico con Tagadum, rifiutando le proposte di dialogo in territorio neutro avanzate dal movimento e mettendo fuori legge in tutto il territorio sudanese i Comitati civili di resistenza, in molte zone unico sostegno per le popolazioni martoriate dalla fame, dalle malattie e dai combattimenti.

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