In Sudan e Rd Congo le peggiori catastrofi umanitarie al mondo
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Non solo Gaza e Ucraìna. In Africa le guerre più devastanti per i civili
In Sudan e Rd Congo le peggiori catastrofi umanitarie al mondo
Nell’indifferenza generale, nei due paesi africani si consumano crisi umanitarie di portata mai vista, con oltre 17 milioni di sfollati e rifugiati - per lo più donne e bambini - ridotti alla fame. Gli appelli delle organizzazioni internazionali da mesi cadono nel vuoto
21 Marzo 2024
Articolo di Antonella Sinopoli (da Accra)
Tempo di lettura 6 minuti

Mancano cibo e acqua, la benzina scarseggia, le comunicazioni e l’elettricità sono ridotti e a fasi alterne, i prezzi di prodotti primari sono saliti alle stelle. E a tutto questo va aggiunta la paura.

Quella che accompagna i giorni e le notti dei sudanesi che da mesi ormai vivono nell’imprevedibilità di un conflitto che, in sostanza, è un gioco di forza tra i due “uomini forti” del paese, ognuno dei quali vuole aggiudicarsene il potere.

Da un lato le forze armate regolari guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan, che è anche presidente de facto del paese, dall’altro le Forze di supporto rapido (RSF) gruppo paramilitare originato dalle milizie janjaweed che hanno combattuto brutalmente i ribelli nel Darfur e sono stati accusati di pulizia etnica.

A capo delle RSF c’è il famigerato generale Mohamed Hamdan Dagalo, meglio conosciuto come Hemeti, noto anche per essere intervenuto con le sue truppe nei conflitti in Yemen e Libia.

Insomma, dopo aver subito per trent’anni la dittatura di El-Bashir e sperato che davvero – come promesso – il governo militare provvisorio avrebbe consentito il passaggio ad un governo civile, i sudanesi si ritrovano al centro di un conflitto che sta invece distruggendo vite, risorse, e ogni possibilità di rinnovamento e riscatto, soprattutto per la popolazione giovanile: il 68% dei sudanesi ha meno di trent’anni, il 41% ne ha meno di 15.

L’inizio delle ostilità risale al 15 aprile dello scorso anno e ad esserne l’epicentro è stata proprio la capitale Khartoum. Da allora, con sporadici tentativi di cessate il fuoco, la situazione è andata deteriorando.

E oggi è una vera e propria catastrofe umanitaria quella denunciata dalle organizzazioni che ancora si trovano nel paese e dalla comunità internazionale.

In soli 10 mesi, secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) si sono registrati 6.27 milioni di sfollati, su una popolazione di circa 46 milioni. Sempre secondo l’OIM, si è dunque arrivati all’incredibile cifra di 10,7 milioni di persone sfollate, di cui 9 milioni all’interno del paese.

Gli altri hanno trovato rifugio in paesi limitrofi: il Ciad che ospita la maggior parte degli arrivi (37%), il Sud Sudan (30%) e l’Egitto (24%), mentre il resto è ripartito tra Etiopia, Libia e Repubblica Centrafricana.

Tutto questo sta creando ulteriori bisogni umanitari in una regione che è già in profonda crisi. Per stessa ammissione dello OIM finora solo 1.2 milioni di persone sono state raggiunte, all’interno del paese e nei paesi ospitanti, con la distribuzione di “aiuti salvavita”.

Senza contare i danni alle infrastrutture, il collasso degli ospedali e del sistema bancario.

Più di 18 milioni di persone che stanno affrontando una grave insicurezza alimentare e 730 mila bimbi che soffrono di grave malnutrizione. Che sta già provocando morti per fame.

E le previsioni non sono migliori: si prevede che durante quest’anno 25 milioni di sudanesi, più della metà della popolazione, avranno bisogno di assistenza umanitaria. Di questi, il 26% sono donne e il 48% bambini.

Per Edem Wosornu, direttrice delle operazioni dell’Ufficio ONU per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), «il Sudan è uno dei peggiori disastri umanitari a memoria d’uomo» per «l’entità dei bisogni umanitari, il numero di sfollati e di persone che soffrono la fame».

Inutile dire che in tale stato di caos e insicurezza le violenze e gli abusi, su minori e su donne soprattutto, non si contano e la maggior parte di questi rimangono unreported.

Non va dimenticato che questa crisi cresce su radici di forte conflitto etnico, di contrasti decennali tra la parte araba della popolazione e i black african (il caso Darfur ne è un esempio chiarissimo) e di controllo armato delle risorse del paese. Ma soprattutto come ricorda l’esperto Alex De Waal – la guerra del Sudan è un vortice di conflitti transnazionali e rivalità globali che minacciano di incendiare in maniera più ampia l’intera regione.

Ma non solo: il Sudan – spiega De Waal – è diventato una sorta di cabina di pilotaggio in cui le potenze emergenti del Medio Oriente cercano di ottenere un vantaggio sui loro rivali. Si pensa agli Emirati Arabi Uniti, all’Iran, alla Turchia, al Qatar. Senza tralasciare il ruolo e l’apporto della Russia.  

Rd Congo: in fuga da Goma

Altra drammatica situazione umanitaria è quella del capoluogo di una delle regioni più ricche di minerali della Repubblica democratica del Congo. Parliamo di Goma, capitale della provincia orientale del Nord Kivu, dove ormai la situazione è diventata «davvero catastrofica». Così si è espressa Angèle Dikongué-Atangana, rappresentante della RDC per l’UNHCR.

Negli ultimi giorni si sono intensificati i combattimenti tra le forze governative e i ribelli dell’M23, il gruppo appoggiato dal governo rwandese (che continua a negarlo) con il fine di “proteggere” i tutsi congolesi dalle presunte discriminazioni nei loro confronti. In realtà per destabilizzare il territorio e appropriarsi delle risorse del sottosuolo.

Ancora oggi – a trent’anni di distanza – non si sono placati gli effetti del genocidio in Rwanda del 1994. A farne le spese sono soprattutto gli abitanti di questa piccola e strategica città, che di solito ospita meno di 800mila abitanti, ma che ormai sono arrivati a 1,5 milioni con l’arrivo di centinaia di migliaia di sfollati da altre aree, anch’esse non sicure.

L’M23 non è il solo gruppo armato – sono oltre 120 le milizie che operano nel paese per accaparrarsi l’oro e altre risorse – ma è questo su cui è concentrata oggi l’attenzione e la paura dei cittadini. Il gruppo ribelle si sta pericolosamente avvicinando alla città.

Ormai si troverebbe a meno di 25 km da Goma controllando quasi tutte le vie di rifornimento. Solo nel mese di febbraio nel Congo orientale si sono registrati 250mila sfollati, gente che cerca di sfuggire alle violenze e ai massacri.

Il risultato è una delle più grandi crisi umanitarie del mondo, con circa 7 milioni di sfollati in totale, molti dei quali sono fuori dalla portata degli aiuti. La paura dei gomatraciens è legata anche al ricordo di quello che accadde nel 2012, quando l’M23 prese il controllo della città.

Ci vollero 19 mesi prima che le forze regolari dell’esercito riprendessero il controllo della situazione. Nel frattempo Goma si era valsa l’appellativo di “città dello stupro”, come ricordano questi giovani, che vorrebbero farne “la città della pace”, ma che rischiano di ritrovarsi ancora in mezzo all’orrore.

Perché l’impatto di un nuovo conflitto sarebbe un disastro. E anche in questo caso si tratterebbe di un conflitto che minaccia di esplodere in una guerra regionale più ampia.

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