Sudan: Hemeti e al-Burhan accettano di incontrarsi
Armi, Conflitti e Terrorismo Sudan
L’impegno strappato ai vertici delle due parti belligeranti dal blocco regionale. Ma l'esercito fa subito marcia indietro
Sudan. IGAD: Hemeti e al-Burhan disposti ad un incontro, il primo dall’inizio del conflitto
11 Dicembre 2023
Articolo di Redazione
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Mohamed Hamdan Dagalo, alias Hemeti (a sinistra) e Abdel Fattah al-Burhan

Un nuovo spiraglio di speranza per l’apertura di un dialogo che possa portare alla fine della guerra in Sudan si è aperto il 9 dicembre scorso, con l’annuncio che i due generali che si combattono da quasi otto mesi hanno accettato di incontrarsi per la prima volta faccia a faccia. Annuncio però subito smentito dalla giunta militare sudanese. 

La svolta è avvenuta a Djibuti nel corso del 41esimo vertice straordinario dell’IGAD, l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo, organismo che rappresenta otto paesi della regione, al quale ha partecipato in presenza anche il comandante in capo dell’esercito sudanese Abdel Fattah al-Burhan, mentre il suo rivale, il capo delle Forze di supporto rapido (RSF) Mohamed Hamddan Dagalo, detto Hemeti – si legge nella dichiarazione conclusiva del vertice – avrebbe parlato separatamente al telefono con il leader di turno del blocco, il presidente gibutino Ismail Omar Guelleh.

Al termine del summit Alexis Mohamed, consigliere del presidente di Djibuti, ha dichiarato su X che i generali “hanno accettato di incontrarsi entro 15 giorni per aprire la strada a una serie di misure di rafforzamento della fiducia”, un primo passo che dovrebbe portare a un cessate il fuoco e a colloqui politici per porre fine al conflitto.

“Rafforzamento della fiducia” che era già stato peraltro uno dei punti chiave dell’ultimo di una serie di accordi siglati al tavolo di trattativa di Jeddah dalle due delegazioni, tutti sistematicamente poi ignorati dai belligeranti.

Scetticismo e cautela, dunque, sono le reazioni dominanti tra gli addetti ai lavori. “Abbiamo già visto i sudanesi negoziare, prendendosi il tempo per fare scorta di armi”, ricorda una fonte diplomatica a Djibuti.

In effetti le posizioni di al-Burhan ed Hemeti restano distanti e nessuno dei due pare intenzionato a scendere a compromessi.

Per avviare un dialogo il primo chiede un cessate il fuoco permanente, il ritiro delle RSF dagli edifici occupati nella capitale e il loro acquartieramento in strutture stabilite di comune accordo; il secondo pone come condizione primaria l’arresto degli ex leader del regime islamista che sostengono l’esercito.

In una lettera al presidente dell’IGAD, Hemeti ha sottolineato che il processo politico dovrebbe escludere l’ex partito al potere sotto il presidente Omer El-Bashir (Partito del congresso nazionale) e i suoi affiliati che hanno ostacolato la transizione democratica.

La possibilità di un incontro diretto appare dunque ancora distante. A rimarcarlo è anche una dichiarazione dai toni accesi diffusa il 10 dicembre, nella quale il ministero degli Esteri sudanese afferma di non riconoscere i contenuti del testo finale del vertice IGAD, in quanto non ratificato dal Sudan. Il ministero elenca una serie di inesattezze e omissioni – tra cui l’affermazione secondo cui al-Burhan avrebbe approvato un incontro con il leader delle RSF – e chiede la correzione del documento conclusivo.

Durante il vertice poi, al-Burhan ha chiesto anche lo scioglimento del quartetto di mediazione guidato dal presidente kenyano William Ruto, da lui considerato troppo vicino alle posizioni delle RSF. Una richiesta accolta dall’IGAD che ha approvato la nomina di un inviato speciale.

Tensioni diplomatiche

Intanto crescono le tensioni tra la giunta militare e gli Emirati Arabi Uniti dopo che, a fine novembre, il vicecomandante in capo dell’esercito ha pubblicamente accusato Abu Dhabi di inviare armi ed equipaggiamento militare alle RSF.

Dichiarazioni alle quali gli emirati hanno risposto con l’espulsione di tre diplomatici sudanesi. Una mossa che ha ulteriormente irritato la giunta militare che ha subito reagito dichiarando “persona non grata” 15 membri del personale dell’ambasciata degli Emirati Arabi Uniti ai quali ieri ha dai 48 ore di tempo per lasciare il paese.

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