
L’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione europea, Josep Borrell, il 28 febbraio scorso, ha annunciato lo stanziamento di 100 milioni di euro per sostenere gli sforzi del governo di transizione in Sudan.
Il sostegno economico dell’Ue è stato annunciato da Borrell nel corso della sua visita ufficiale di due giorni nel paese africano, che si è conclusa il 1° marzo. L’ingente somma, che va ad aggiungersi al pacchetto di aiuti di 150 milioni di euro già erogato dall’Eutf (il Fondo fiduciario di emergenza istituito da Bruxelles per l’Africa), è destinata a stimolare l’economia sudanese in grave difficoltà e supportare l’agenda di riforme avviata dal Consiglio sovrano, che guida il governo di transizione.
Il Consiglio sovrano è succeduto al Consiglio militare di transizione (Cmt) che nell’aprile 2019 prese il potere dopo la destituzione di Omar El-Bashir. Nei mesi successivi, la deriva reazionaria del Cmt sembrava minacciare il successo della rivoluzione popolare sudanese. Poi, lo scorso 17 agosto, la strada per traghettare il Sudan verso un processo di democratizzazione e libere elezioni è stata definitivamente spianata con la firma della storica “dichiarazione costituzionale”, che ha stabilito la condivisione del potere nel Consiglio sovrano tra i componenti della giunta militare e della società civile.
Primi provvedimenti
Sei mesi dopo l’insediamento, il gabinetto del primo ministro Abdalla Hamdok ha adottato vari provvedimenti che lasciano ben sperare sul suo operato futuro. Tra questi, la decisione di sciogliere il National Congress Party (Ncp), il partito dell’ex presidente El-Bashir, confiscarne i beni e vietare ai suoi membri le attività politiche per dieci anni. Ancor più importante, è stata l’abrogazione di una serie di controverse leggi sull’ordine pubblico, tra cui quella che prevedeva arresti e frustate per le donne sorprese a partecipare a feste private o a indossare i pantaloni. Una decisione che ha riconosciuto il ruolo chiave svolto dalle donne nel movimento di protesta.
Inoltre, alcuni provvedimenti adottati lo scorso dicembre per promuovere la libertà religiosa della minoranza cristiana nel paese hanno indotto la Commissione per la libertà religiosa del Dipartimento di stato americano a rimuovere il Sudan dalla lista dei “paesi di preoccupazione particolare”, ai sensi dell’applicazione dell’International Religious Freedom Act.
Progressi per Human Rights Watch
Nel suo ultimo report sul Sudan, Human Rights Watch ha riconosciuto che le autorità di transizione hanno compiuto importanti progressi in materia di riforme per la promozione e la salvaguardia dei diritti umani, incluso l’approvazione di progetti di legge che istituiscono commissioni per lavorare sui diritti umani e riformare la giustizia.
Su quest’ultimo punto, l’ong newyorchese sottolinea che le autorità di Khartoum dovrebbero attuare riforme organiche del sistema giudiziario per garantire che i diritti degli imputati siano tutelati in ogni fase del processo. Hrw evidenzia anche l’importanza di affrontare la discriminazione di genere rivedendo quanto prima le disposizioni in materia di tutela legale, matrimonio e eredità.
I gruppi per i diritti delle donne hanno dichiarato a Hrw di non essere stati adeguatamente o equamente rappresentati nelle istituzioni di transizione e hanno chiesto pari rappresentanza nelle nomine dei governatori statali e dei membri nel consiglio legislativo.
Risoluzione conflitti
Il nuovo governo sta inoltre adottando una serie di misure per risolvere i conflitti interni perpetuati dall’ex regime di El-Bashir. Sempre a dicembre, il governo di transizione e i movimenti armati del Darfur hanno siglato un accordo quadro per rivitalizzare i colloqui di pace: il primo passo significativo dal 2011 verso la risoluzione definitiva del conflitto. E per la prima volta dopo quasi un decennio, un cessate il fuoco tra Khartoum e gruppi ribelli ha consentito la consegna degli aiuti umanitari alle popolazioni del Sud Kordofan e del Nilo Azzurro.
Quella che resta particolarmente critica è la situazione economica del paese, depauperato da trent’anni di una gestione del potere familistica e clientelare da parte di El-Bashir e dei suoi parenti, come conferma un nuovo report dell’organizzazione investigativa statunitense The Sentry.
L’indagine ricostruisce come il figlio adottivo dell’ex presidente, Ayman El Mamoun, ha sfruttato la sua posizione per assicurarsi una serie di contratti per importare beni di consumo a prezzi gonfiati. Un sistema ben rodato, che alla fine del 2016 ha contribuito a far superare i 728 milioni di dollari al debito contratto dal Sudan con la Eastern and Southern African Trade and Development Bank (Tdb).
Nel complesso, il nuovo corso del Sudan sembra avviato, ma la strada da percorrere è ancora in salita e molte delle riforme previste nella Carta costituzionale del governo di transizione devono ancora essere attuate. E non è stato istituito nemmeno il Consiglio legislativo, che doveva essere formato entro tre mesi dal giuramento del governo di transizione. Ritardi che ostacolano la capacità del governo di discutere le leggi e adottare le politiche chiave per riformare il Sudan dalle fondamenta.