Sudafrica: torture, omicidi e impunità: la “matriosca” di problemi dell’esercito
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Una serie di inchieste della ong Open Secrets prende il nome dalla bambola russa e fa luce su alcuni scandali
Torture, omicidi e impunità: la “matriosca” di problemi dell’esercito del Sudafrica
Dal coinvolgimento in un caso che ha messo a rischio le relazioni con gli USA fino a rapimenti e abusi, l'operato delle forze armate sudafricane continua a essere problematico, Anche 30 anni dopo la fine dell'apartheid
05 Dicembre 2023
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 6 minuti

Trent’anni dopo la fine del regime di apartheid le forze armate del Sudafrica continuano a essere coinvolte e a uscire impunite da casi di tortura e omicidi e ad agire in modo opaco, con conseguenze potenzialmente molto serie. Almeno così dimostra una serie di inchieste di inchieste realizzate dalla ong locale Open Secrets e rilanciata dal settimanale Daily Maverick, fra i giornali più letti del paese.

Le indagini degli attivisti, condotte a partire dalle analisi di documenti e immagini e dalla verifica di testimonianze di fonti molto vicine ai fatti, documentano una serie di crimini e di gravi violazioni dei diritti dei cittadini che vedono coinvolte forze speciali dell’esercito e servizi segreti.

Open Secrets, nata nel 2012 e di base a Città del Capo, è una ong che porta avanti indagini su violazioni dei diritti umani, crimini economici e conflitti con l’obiettivo dichiarato di lavorare «per la giustizia sociale». La serie di inchieste si chiama Russian doll, ovvero “matriosca”. Un nome che fa pensare a un progressivo susseguirsi di eventi criminosi ma che allude a Mosca, e non a caso.

Il primo episodio del lavoro di Open Secrets è infatti dedicato al probabile coinvolgimento di un mezzo legato a un corpo di èlite delle forze armate in un caso che ha destato molto scalpore: l’attracco nella più importante base navale sudafricana del vascello russo sottoposto a sanzioni Lady R, carico di armi, avvenuto nel dicembre 2022. La sua presenza nel porto sudafricano ha spinto l’ambasciata degli USA ad accusare Pretoria di armare Mosca nel contesto della guerra in Ucraina. Tensioni, quelle con Washington, che sono arrivate a far pensare a una messa in discussione della partecipazione del Sudafrica al programma di agevolazioni sui dazi doganali per gli USA inquadrato nell’African Growth and Opportunity Act (AGOA). Uno scenario che non si è poi concretizzato. 

Un panel indipendente istituito dal governo, dopo un procedimento condotto in modo segretato, ha smentito l’accusa per cui su Lady R erano state imbarcate armi dirette in Russia. L’organismo ha ammesso che l’imbarcazione ha scaricato armamenti ordinati dal Sudafrica alla Russia nel 2018. Open Secret ha criticato l’operato della commissione voluta dal presidente Cyril Ramaphosa e ha chiesto che ne vengano resi pubblici gli atti.

Il caso della Lady R

La successione di eventi che segue lo scandalo della Lady R spiega la scelta di denominare “matriosca” questa serie di indagini. Gli attivisti hanno infatti documentato come un’auto presente sul luogo dove era stato scaricato il materiale a bordo della Lady R fosse di proprietà di una società controllata dalle forze speciali del Sudafrica, in genere utilizzata per condurre operazioni sotto copertura. Il corpo dell’esercito in questione, denominato Recces, non è autorizzato a compiere operazioni sul suolo sudafricano se non a sostegno delle forze di polizia e previa autorizzazione del presidente e del Parlamento. Tutte circostanze che non si sono verificate in questo caso. 

Quello stesso mezzo poi, con altri delle élite dell’esercito sudafricano, è stato visto tre settimane più tardi in prossimità di due presunti finanziatori e reclutatori dello Stato Islamico appena prima che questi venissero verosimilmente rapiti dalle forze di sicurezza nella provincia di Gauteng, come denunciato alla giustizia sudafricana dal fratello di una delle vittime.

L’omicidio di Frans Mathipa

Il poliziotto che è stato incaricato di indagare sulla faccenda dopo un primo rifiuto a procedere da parte della giustizia sudafricana, il tenente colonnello Frans Mathipa, è stato ucciso ad agosto in autostrada poco dopo aver comunicato ai suoi colleghi di voler procedere all’arresto di membri delle forze speciali. Mathipa aveva anche confessato le difficoltà nell’ottenere documenti dall’esercito all’avvocato dei familiari della vittima del rapimento. 

Una delle figure indagate da Mathipa, il colonnello Pinny Sunnybooi Wambi, torna poi in un altro degli episodi documentati da Open Secrets, risalente stavolta al 2019. Si tratta di un caso di omicidio e tortura commesse da membri dei corpi speciali e dell’intelligence ai danni di un uomo accusato di avere informazioni in merito a un furto di fucili di ultima generazione che era avvenuto giorni prima nella base dell’esercito di Thaba Tshwane, nei pressi di Pretoria.

Gli autori delle violenze o non sono andati incontro a conseguenze o sono stati promossi, come nel caso di Wambi. Torture commesse da elementi delle forze speciali sono riportate anche in un report stilato di recente da una commissione di indagine interna che però è stata finora ignorato dai vertici dell’esercito.

Esercito e Sudafrica: una storia complessa 

Gli attivisti collocano il loro lavoro in un contesto segnato da una tradizionale reticenza a indagare sulle malefatte delle forze armate. Sostengono che le responsabilità dell’esercito nei quasi 50 anni di regime di apartheid che è stato in vigore nel paese fino al 1994 non sono mai state chiarite in modo organico per paura che i militari potessero agire contro il neonato ordine democratico.

Nei 30 anni che sono seguiti il potere dell’esercito, secondo la ricostruzione di Open Secrets, non è mai stato messo veramente in discussione. Al punto che le forze armate sarebbero andate molto vicine all’imporre una decisa svolta autoritaria al paese nel 2017, nel pieno di una mobilitazione popolare contro l’allora presidente Jacob Zuma e contro la fitta rete di corruzione che durante il suo governo si era estesa a praticamente tutte le istituzioni del paese.

Ancora un anno dopo, ha rivelato la stampa sudafricana, militari sarebbero stati a un passo dall’effettuare un colpo di stato a favore dello stesso Zuma, che nel frattempo era stato costretto a dimettersi e a cui era succeduto l’attuale presidente Cyril Ramaphosa. Entrambi i capi di stato fanno parte dell’African National Congress (ANC) che guida il Sudafrica dalla fine della segregazione razziale.

Anche l’amministrazione Ramaphosa non sembra desiderosa di scardinare il potere delle forze armate. Il loro sostegno si è del resto rivelato fondamentale nell’arginare le proteste di piazza che sono scoppiate nel 2021 dopo l’arresto di Zuma, accusato di non aver collaborato con la commissione anti corruzione, e in cui morirono circa 300 persone.

La fiducia dei sudafricani 

Negli anni migliaia di militari sono stati schierati a sostengo della polizia nel contrasto alla violenza dei gruppi criminali o contro gli attacchi agli impianti della società elettrica statale Eskom, protagonista di una crisi senza precedenti che da anni lascia al buio il buio per diverse ore al giorno. Nelle scorse settimane Ramaphosa ha annunciato il dispiegamento di ulteriori 3mila soldati per aiutare la polizia ad arginare le attività dei minatori illegali.

Sulla fiducia dei cittadini sudafricani nelle forze armate ci sono invece dati discordanti. Secondo il Global Trustworthiness Index di Ipsos, più di un terzo dei 62 milioni di abitanti del paese non ha nessuna fiducia nei membri dell’esercito, il terzo dato peggiore al mondo. Per una ricerca dell’osservatorio Afrobarometro del 2021 invece, le forze armate sono la quarta istituzione più rispettata del paese su oltre 15 enti.

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