La Conferenza Italia-Africa e il Piano Mattei sembrano aver già sortito un effetto dalla portata forse inaspettata. Sono riusciti infatti, più di altri eventi simili organizzati in passato in altre parti del mondo, a mettere in discussione la validità e il concetto stesso di tutta la diplomazia dei “Forum con l’Africa” che vengono organizzati ciclicamente da diverse potenze economiche globali, dagli Stati Uniti alla Cina, dalla Russia alla Francia.
Diversi commentatori originari del continente, dal cronista keniano di Cnn Larry Madowo al giornalista dello Zimbabwe Hopewell Chin’ono, fino all’analista ed ex ministro somalo Abdirashid Hashi si sono chiesti che senso abbiano queste conferenze. In ragione di cosa, decine di leader del continente si recano in un paese a interloquire con i vertici di quella singola realtà nazionale? «Tutti sembrano aver un piano per l’Africa, eccetto il continente stesso», ha scritto in un suo commento Madowo.
Più duro ancora il commento che emerge da un editoriale apparso sul quotidiano The Herald, testata filo-governativa dello Zimbabwe, rappresentato ieri a Roma dal presidente Emmerson Mnangagwa. Nell’articolo si afferma che il Piano Mattei «è stato messo insieme in fretta e in furia dall’Italia con l’obiettivo di non perdere la sua libbra di carne in Africa» e di conseguenza «mostra una chiara mancanza di strategia». The Herald si interroga inoltre sulle reali capacità economiche del nostro paese, la seconda peggiore economia del G7 di cui è presidente di turno quest’anno.
Entrando nel merito di alcune critiche, è utile rilevare che in realtà ieri a Roma non c’erano solo le massime cariche del governo italiano. Erano anche presenti i più alti dirigenti delle tre principali istituzioni dell’Unione europea. Nel corso della conferenza la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha definito il Piano Mattei complementare alla ben più ampia strategia di sviluppo infrastrutturale ed energetico europea nota come Global Gateway, che solo per l’Africa prevede investimenti per 150 miliardi di dollari nei sei anni fra il 2021 e il 2027.
L’apprezzamento del Kenya
Ieri a Roma sono giunti inoltre oltre 20 fra capi di stato e di governo africani, una partecipazione significativa e in parte inattesa. Ed è anche vero che a Roma c’è chi ha cambiato idea rispetto alla natura di questi summit. Il presidente del Kenya William Ruto era stato in passato molto critico sugli eventi che prevedevano la partecipazione di tutti i paesi africani al cospetto di un solo partner europeo o internazionale, proponendo piuttosto di inviare i vertici dell’Unione africana (Ua) in rappresentanza di tutta la regione. Ieri però, a Roma, il capo di stato kenyano ha affermato di aver trovato «diverso» il «pragmatico approccio» adottato dal governo della primo ministro Giorgia Meloni.
Tornando alle critiche, le modalità per rendere più efficace e veramente paritario il piano, come nelle intenzioni del governo italiano, almeno sulla carta, in realtà c’erano. A esempio quella di consultare l’Ua e la società civile del continente nella fase di elaborazione dell’iniziativa. Dinamica che però non si è verificata, come denunciato nel suo discorso dal presidente della commissione dell’Unione Faki Mahamat, che fra le altre cose ha detto che l’organismo regionale «avrebbe preferito essere consultato prima» dell’incontro.
E come richiesto nei giorni scorsi anche da 79 ong di base nel continente, coordinate dall’organizzazione Don’t Gas Africa. In una lettera alle massime cariche dello stato italiano, le realtà della società civile africana hanno appunto lamentato di non essere state coinvolte e hanno espresso tutti i loro timori sui possibili effetti del piano a livello di contrasto nella crisi climatica, presentando un appello in sette punti per una giusta transizione energetica. Il Piano Mattei, stando a quanto affermato da Meloni, conta fra le sue priorità la trasformazione dell’Italia in uno hub per l’approvvigionamento energetico di tutta l’Europa. Non è ancora chiaro però se si parla di energie rinnovabili o di combustibili fossili. Quanto emerso ieri non sembra aver dissipato i dubbi della società civile.
Rispetto a questo, l’unico elemento noto è che tre dei primi 5,5 miliardi di euro annunciati per il Piano provengono dal Fondo italiano per il clima, il principale strumento per la finanza climatica di cui dispone il paese. Ulteriori dettagli sono necessari, se si tiene conto che la cifra citata ieri da Meloni costituirebbe da sola il 70% del totale di cui dispone questo meccanismo. Oltre al fatto che diverse delle iniziative che hanno aperto la strada al Piano Mattei, a esempio in Algeria e Congo, sono tutti incentrate sui combustibili fossili.
E il debito?
Altro grande assente dalle dichiarazioni dei rappresentanti italiani ed europei di ieri è stato il debito dei paesi africani, pur citato fra gli «ostacoli allo sviluppo» del continente da Faki Mahamat. E implicitamente chiamato in causa anche dal presidente di turno Azali Assoumani, che ha evidenziato l’importanza di una riforma della governance globale e dell’architettura finanziaria internazionale.
Nelle stesse ore in cui il summit si teneva in Senato, a qualche centinaia di metri di distanza parlamentari e attivisti italiani e africani si riunivano alla Camera per discutere l’idea della cancellazione del debito. Un fardello che vale 655 miliardi di dollari e il 22% del Prodotto interno lordo dell’Africa solo se si parla di quello esterno. E che fagocita risorse che potrebbero essere destinate a settori chiave come istruzione e sanità.