Africa subsahariana: economie al limite - Nigrizia
Economia Politica e Società
Allarmante il rapporto del Fondo monetario sulla crisi
Africa subsahariana: economie al limite
La crescita del continente rischia di essere soffocata dal suo crescente debito. Oggi, 19 paesi sono già in sofferenza o a rischio di totale inadempienza, con un debito che, per la prima volta in 20 anni, ha raggiunto il 60% del Pil. Il Fmi indica quattro obiettivi strategici per evitare il baratro
17 Ottobre 2022
Articolo di Redazione
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Living on the edge (Vivere al limite) è il titolo dato dal Fondo monetario internazionale (Fmi) per la regione del subsahara al rapporto pubblicato la scorsa settimana (Regional Economic Outlook for Sub-Saharan Africa) riguardante l’attuale panorama economico dell’area. Il titolo non sorprende considerato l’improvviso stallo del già povero processo di recupero avvenuto all’inizio del 2021.

Il rapporto è stato presentato da Abebe Aemro Selassie, direttore del dipartimento del Fmi per l’Africa. “La previsione per l’ultimo quarto appare estremamente incerta – recita il rapporto – e gli operatori politici devono affrontare la situazione più critica degli ultimi anni”.

Peraltro, le sfide economiche registrate sono presenti a livello globale, come rivelano altre indagini macro-regionali rilasciate in questi ultimi giorni da ministri dei governi e banchieri convenuti a Washington per i biennali convegni del Fmi e della Banca mondiale.

Le proiezioni per il 2022 parlano di una crescita del 3.6%, mentre nel 2021 era stata del 4.7, una riduzione dovuta ai minori investimenti e al peggioramento globale delle operazioni commerciali, con un rallentamento generale dell’economia e una crescente volatilità dei prezzi delle materie prime. 

La guerra in Ucraìna ha naturalmente assestato un colpo ancor più grave alle già critiche condizioni globali. Espresso in un aumento impressionante dei costi di cibo ed energia nelle regioni più vulnerabili del subsahara, uniti alla lievitazione del debito pubblico e ad un’inflazione di livello mai visto da decine d’anni.

L’aumento del costo della vita ha spinto milioni di persone in condizioni di assoluta insicurezza alimentare e pesa gravemente sulla crescita economica, al tempo stesso minando la stabilità sociale e politica di vari paesi, come già si può notare. I più a rischio sono concentrati nell’Africa orientale.

Una situazione aggiuntasi agli effetti della prolungata pandemia del Covid, che ha reso il compito di politici e legislatori, in campo economico, tra i più difficili degli ultimi anni. Diventa ancor più essenziale quindi, secondo il rapporto, il sostegno internazionale nell’affrontare le sfide registrate, inclusa l’insicurezza alimentare e la transizione ecologica.

Il debito pubblico, d’altro lato, ha raggiunto il 60% del Prodotto interno lordo, una situazione che riporta al livello dei primi anni 2000. Oggi 19 paesi del subsahara, tra i 35 definiti a basso reddito, sono in sofferenza o a rischio di totale inadempienza quanto al debito.

In tale scenario Abebe Selassie ha suggerito quattro priorità per i politici dell’area subsahariana: «Nel contesto della crescente insicurezza alimentare – ha dichiarato – la priorità assoluta è di proteggere i più vulnerabili. Le risorse disponibili devono andare a loro. Vanno pertanto identificate e eliminate false misure d’emergenza».

«Per combattere l’inflazione e le restrizioni legate agli interessi sul debito – ha aggiunto –  i responsabili politici devono aumentare, con la dovuta cautela, il controllo sull’aggravarsi dell’inflazione, sui tassi di cambio e sulle riserve di valuta estera».  

«In terzo luogo – sostiene Selassie – gli attori politici subsahariani devono pensare a consolidare le finanze pubbliche per salvaguardare la sostenibilità fiscale, soprattutto in un contesto di aumento della rate degli interessi. Una seria gestione del debito può creare condizioni favorevoli a far diminuire il costo di eventuali prestiti. In alcuni casi sarà necessaria una ristrutturazione del debito stesso, impegnandosi anche a mettere in pratica il quadro comune stabilito dal gruppo dei G20».

«E infine – conclude il funzionario del Fmi – nel contesto dell’aggravarsi del cambio climatico, dovrebbero essere create condizioni per una crescita di alta qualità. Questo investendo da un lato in nuove infrastrutture verdi e resistenti, e dall’altro capitalizzando nel grande parco di risorse di energie rinnovabili presenti nel sub-continente». «Un’operazione – secondo Selassie – che richiede sia finanziamenti innovativi privati che riforme serie del settore energetico».

Maggiore sostegno e finanziamenti per le aumentate necessità delle nazioni con maggiore insicurezza alimentare e peggioramento delle condizioni climatiche saranno cruciali per il subsahara, per spingere i paesi a intraprendere un percorso di sviluppo basato su minor consumo di energia fossile e migliore resistenza ai cambi climatici. Sul fossile però gli africani paiono andare oggi in direzione decisamente contraria rispetto a quanto indicato da Selassie.

«Il Fmi ha sostenuto l’Africa subsahariana con circa 50 milioni di dollari a partire dalla crisi pandemica – ha sottolineato ancora – interventi recenti in programmi di sviluppo in Benin, Capo Verde, Mozambico, Tanzania, Zambia, hanno avuto un positivo impatto sulla crisi alimentare, e il Fondo ha da poco approvato una nuova finestra di sostegno per ovviare alla crisi d’importazione di cibo, come pure all’esportazione di cereali».

«Stiamo infine sostenendo l’afflusso di nuovi capitali – ha concluso il direttore del Fmi per il subsahara – promuovendo le potenzialità locali ed ampliando le strutture dei prestiti con un nuovo Fondo di resilienza e sostenibilità, così da provvedere finanziamenti sostenibili per affrontare sfide strutturali a lunga scadenza».   

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