L’ancora energetica delle power ship - Nigrizia
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In espansione il ricorso a società estere che mettono a disposizione navi per la produzione di energia. Il caso della turca Karpowership
L’ancora energetica delle power ship
L’Africa subsahariana ha il più basso accesso all’energia al mondo. Ma invece che investire in impianti interni di generazione, sempre più paesi si affidano a grandi navi straniere che producono e vendono elettricità. Con spese di decine di milioni di dollari
13 Novembre 2023
Articolo di Antonella Sinopoli (da Accra)
Tempo di lettura 4 minuti
Una delle 25 navi gestite dall'azienda turca Karpowership. (Credit: Karpowership)

I blackout sono cosa frequente più o meno in tutti i paesi subsahariani. E nonostante la crescita economica di molti di questi paesi negli ultimi anni, questo è un problema che i governi proprio non sono riusciti a risolvere.

Ma pochi sanno che quegli stessi governi che dovrebbero investire in infrastrutture in grado di fornire elettricità in modo continuativo alle popolazioni, hanno trovato una soluzione a breve termine e stanno spendendo un mucchio di denaro per pagare le power ship.

Si tratta di navi a motore che forniscono elettricità a città e paesi con sbocco al mare. Fatto sta che spesso i governi accumulano forti debiti con le società estere che le mettono a disposizione. E allora la situazione già critica di per sé, precipita.

Ed è così che è accaduto che Freetown e Bissau, capitali della Sierra Leone e della Guinea-Bissau, si ritrovassero al buio, nel momento in cui la società turca che operava al largo delle coste ha interrotto la fornitura.

Il motivo? I rispettivi governi hanno accumulato un debito pari a 40 milioni di dollari e 15 milioni di dollari rispettivamente. Grazie ad una rinegoziazione che prevederebbe una fornitura inferiore a costi più bassi, la corrente è poi ritornata.

A soffrire del disagio soprattutto gli ospedali dove – finché sono durati – si è dovuto fare ricorso ai generatori. Karpowership – questo il nome dell’azienda turca – gestisce centrali elettriche galleggianti e fornisce elettricità a otto paesi africani tra cui Ghana, Senegal, Mozambico e Costa d’Avorio.

Il direttore commerciale della società, Zeynep Harezi, ha rivelato a Semafor che l’azienda è in trattative con diversi paesi africani come parte dei suoi piani di espansione.

I paesi in questione sono: Tanzania, Kenya, Gabon, Repubblica democratica del Congo, Camerun e Liberia.

Inoltre, il prossimo anno la società prevede di iniziare ad operare in Sudafrica. L’obiettivo è generare 1.200 megawatt, circa il 2% della fornitura energetica del paese.

Ovviamente, il dirigente della compagnia non ritiene che ricorrere alle navi galleggianti sia una soluzione temporanea. Anzi, afferma che tali navi che utilizzano gas naturale per generare l’elettricità che viene poi immessa nella rete, offrono una “soluzione permanente” ai problemi energetici in molti paesi africani perché sono “più pulite” rispetto ad altre fonti energetiche di combustibili fossili.

Fatto sta che l’Africa subsahariana ha il più basso accesso all’elettricità al mondo. Sono oltre mezzo miliardo le persone (dati 2021) che non ne fanno uso. Vale a dire l’80% dell’intera popolazione mondiale che non ha accesso a questo servizio.

E il problema più serio è che questi dati sono gli stessi dal 2010. Insomma, in un decennio la situazione non è migliorata granché. Solo che oggi esistono sistemi alternativi, come le power ship, appunto.

Tale incapacità dei governi di sviluppare e mantenere le infrastrutture necessarie per fornire energia affidabile, alla fin fine ha ostacolato lo sviluppo economico dei paesi di tutto il continente, comprese le sue maggiori economie: Nigeria e Sudafrica.

La dipendenza di alcuni paesi dalle power ship (per esempio il fabbisogno della Guinea-Bissau è stato calcolato al 100%, quello della Sierra Leone all’80%) è emblematica del fallimento in molti paesi africani nello sviluppo o nel mantenimento di impianti energetici.

Il risultato di una visione a breve termine, che quindi non prevede investimenti di capitale per un settore così vitale per la crescita economica e per la vita quotidiana dei cittadini, come quello energetico.

«Le navi Karpower e altri ‘fornitori di emergenza’ – ha detto ancora a Semafor Bright Simmons, responsabile della ricerca presso l’Imani Center for Policy and Education in Ghana – sono un male necessario a causa del cronico sottoinvestimento nelle infrastrutture energetiche».

Del resto le power ship e le aziende che le mettono a disposizione non generano e non forniscono uno sviluppo infrastrutturale a lungo termine o una soluzione energetica più pulita rispetto all’energia solare, eolica e idroelettrica.

Rappresentano solo un modo comodo e senza alcun impegno per i governi di rispondere alle necessità immediate invece di adoperarsi nella costruzione di centrali elettriche a terra.

Tranne poi rimanere a corto di liquidità e non riuscire a pagare i conti. Diventando, tra l’altro, ricattabili.

Secondo alcuni esperti meglio sarebbe se i governi investissero in fonti energetiche rinnovabili come l’energia idroelettrica e quella solare. Un modo più economico ed efficace – dice la Banca Mondiale – per aumentare l’accesso all’elettricità.

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