Aumentano in Africa i conflitti tra uomini e animali selvatici - Nigrizia
Ambiente
Tra le cause l’erosione degli habitat naturali e gli effetti del cambiamento climatico
Aumentano in Africa i conflitti tra uomini e animali selvatici
La crescita della popolazione umana associata all’incremento di deforestazione, alluvioni e siccità, sta esasperando la competizione per risorse vitali sempre più scarse. Un conflitto che vede in prima linea gli elefanti e che conta già decine di morti da entrambe le parti
27 Dicembre 2022
Articolo di Michela Trevisan
Tempo di lettura 5 minuti
Un elefante attraversa l'autostrada principale che collega il Botswana con lo Zambia (Credit: AP)

Nell’affrontare la vastità e la complessità dei danni causati dal cambiamento climatico nel pianeta occorre cominciare a considerare un aspetto finora trascurato ma non per questo meno rilevante: il rapporto sempre più conflittuale tra esseri umani e animali.

Se in Italia comincia a disturbare la sempre più frequente penetrazione in aree urbane della fauna selvatica, immaginiamo cosa significhi per popolazioni che vivono di agricoltura di sussistenza in paesi a basso e medio reddito, un fenomeno come questo. Che interessa migliaia di persone che vivono nei pressi di habitat naturali in Asia, Africa e America Latina.

Lotta per la sopravvivenza

Nell’Africa subsahariana questo conflitto è sempre esistito, ma oggi sta assumendo proporzioni preoccupanti. Le devastanti piogge torrenziali, sempre più frequenti, e i sempre più intensi e prolungati periodi di siccità, spingono la fauna selvatica, e in particolare gli erbivori, a invadere i territori insediati dall’uomo alla ricerca di cibo. 

Si contano a decine le segnalazioni quest’anno di terreni coltivati invasi da elefanti, i mammiferi che più stanno soffrendo la mancanza d’acqua (per sopravvivere necessitano di almeno 130 litri di acqua e 300 chili di vegetazione al giorno, ma l’acqua è anche fondamentale per regolare la temperatura corporea). E sono decine le persone uccise. Per lo più contadini e loro famigliari, anch’essi in lotta per la sopravvivenza in un ambiente divenuto per tutti sempre più ostile.

Erosione degli habitat naturali

Ma non è solo la fame a spingere gli animali a irrompere nelle zone occupate dall’uomo. Ad accrescere la competizione sono anche gli stessi umani che continuano ad espandere la loro devastante presenza in habitat naturali.

Significativo il caso di Banyo, un distretto commerciale, agricolo e di allevamento di bestiame nel nord del Camerun, che a luglio ha sperimentato un consistente aumento degli attacchi di animali provenienti dal parco nazionale Gashaka-Gumti, oltreconfine, in Nigeria.  

Scontri che hanno provocato la distruzione dei raccolti e l’uccisione di un numero imprecisato di animali, tra cui anche specie protette. A nulla è servito l’intervento del senatore camerunese Mohaman Gabdo Yahya, che è anche capo tradizionale di Banyo, che ha invitato agricoltori e allevatori a smettere di estendere le terre agricole e di allevamento alle aree fertili che si trovano nel territorio intorno al parco e a tornare nelle aree occupate in precedenza. 

Ma l’erosione degli habitat naturali in Africa è soprattutto dovuta all’espandersi delle infrastrutture e della cementificazione e agli interventi massicci di disboscamento, per il legname e per fare posto alle coltivazioni.

E, in alcuni casi, gli animali provano a difendere i loro territori. Le scimmie, in particolare, come accade in Uganda, dove tra febbraio e luglio gli attacchi compiuti dagli scimpanzé contro gli abitanti del villaggio di Bugala, circa 200 chilometri a ovest di Kampala, hanno causato la morte di almeno quattro bambini e dozzine di feriti.

«Gli scimpanzé si sono scatenati dopo che una parte della foresta in cui vivevano da secoli è stata distrutta da un’azienda che sta piantando canna da zucchero. Per lo più attaccano donne e bambini mentre si trovano nei campi», ha raccontato il capo del villaggio all’agenzia Anadolu. Anche la foresta di Busitema nel distretto orientale di Busia, ha riportato attacchi di scimpanzé, primati estremamente territoriali. Lo ha documentato di recente anche un reportage video del giornalista di Channel 4 News Jamal Osman.

Ma, in generale, sono gli elefanti gli animali che detengono il primato di attacchi contro gli uomini. In particolare in Zimbabwe, paese tra quelli che negli ultimi anni ha assistito alla più consistente crescita della popolazione e della competizione per risorse sempre più limitate. Sono state 46 le persone uccise dai pachidermi tra gennaio e agosto, soprattutto nelle aree in cui le persone vivono vicino ai parchi nazionali.

Il numero più alto di vittime nell’Africa meridionale, secondo il governo, che all’inizio di novembre ha tentato di raffreddare i malumori della popolazione promettendo compensazioni in denaro.

Negli ultimi mesi, però, si sono moltiplicate le segnalazioni di attacchi anche in Zambia, in Gabon e in Mozambico.

Strategie di gestione

Tra le soluzioni messe in campo dai governi e dalle organizzazioni ambientaliste nell’Africa australe – che ospita la stragrande maggioranza degli elefanti (anche a rischio estinzione, come gli elefanti di foresta) del continente – c’è quella in corso in Gabon, che sta implementando la creazione di una rete di barriere elettrificate a difesa dei villaggi. Un progetto che al momento sembra funzionare.

La sfida è infatti duplice: da un lato proteggere la popolazione e le colture di sussistenza, dall’altro tutelare gli animali che, a causa della crecente scarsità di acqua e vegetazione, sono destinati a morire di stenti.

Più drastico il progetto attuato dallo Zimbabwe e dal Malawi che hanno optato per il trasferimento dei pachidermi, nel tentativo di riequilibrare l’ecosistema.

Harare ha iniziato a luglio un imponente programma che consiste nello spostamento da sud a nord di 400 elefanti, 2mila impala, 70 giraffe, 50 zebre, 50 bufali, 50 eland, 10 leoni, 10 cani selvatici e altri animali minacciati dalla siccità.

Una strada che il Malawi ha iniziato a percorrere già nel 2019, con oltre 550 pachidermi trasferiti da zone nelle quali risultano in sovrappopolazione.

Interventi impegnativi e costosi che nel prossimo futuro riusciranno solo a tamponare una situazione in costante degrado dovuta a decenni di scellerate politiche ambientali e di sviluppo a livello locale e globale.

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