Kenya - Italia. Nuovi accordi per le dighe - Nigrizia
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La visita di Mattarella rimette in moto i tre controversi progetti bloccati per sospetta corruzione
Kenya – Italia. Nuovi accordi per le dighe
Nel 2015 i progetti sono stati fiori all’occhiello dell’allora vicepresidente Ruto. Poi il suo tallone d'Achille per lo scandalo di corruzione che ha coinvolto esponenti del governo e l’appaltatore italiano Cmc. Ora tornano in auge grazie a un nuovo accordo bilaterale. L’interesse del Kenya a riprendere i lavori di costruzione delle dighe è chiaro. Un po’ meno quello dell’Italia
21 Marzo 2023
Articolo di Redazione
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Tra gli accordi siglati durante la visita di Stato del presidente Sergio Mattarella in Kenya uno ha suscitato la particolare attenzione dei mass media e dell’opinione pubblica locali: quello che ha rimesso in moto la realizzazione delle dighe di Arror e Kimwarer, nella contea di Elgeyo-Marakwet, e di Itare, nella contea di Nakuru.

Si tratta di infrastrutture del valore, al momento della firma del contratto, di quasi 100 miliardi di scellini (63 le prime due, 34 la terza; in totale poco meno di 720 milioni di euro al cambio attuale). Tutte si trovano nella Rift Valley, bacino elettorale del presidente William Ruto. Tutte erano state fermate a causa di pesanti sospetti di corruzione.

Il Daily Nation del 15 marzo ha dedicato un’intera pagina all’accordo, intitolandola Ruto seeks to dodge bullet as he rivives stalled dams (Ruto cerca di scamparla risuscitando le dighe bloccate). Un video di Ntv, una delle più importanti reti televisive del paese, fatto circolare attraverso Twitter, riassume l’intesa raggiunta come Sanitizing the dams deal (Sanificare l’accordo delle dighe) con una scelta del verbo dal significato si direbbe evocativo. E sono solo due tra gli esempi possibili.

Kimwarer e Arror

I progetti delle dighe di Kimwarer e Arror erano stati bloccati dal presidente Uhuru Kenyatta nel settembre del 2019 perché, per la commissione incaricata di valutare il caso, gli studi di fattibilità erano carenti e i costi erano stati gonfiati.

In totale, la costruzione delle due infrastrutture aveva un budget di 63 miliardi di scellini kenyani (Kes), poco più di 450 milioni di euro al cambio attuale. I finanziamenti provenivano dal settore privato – banche, agenzie di import-export, compagnie diverse – che avevano chiesto un’assicurazione a garanzia dei fondi accordati.

L’assicurazione fu accesa presso l’italiana Sace (Servizi assicurativi e finanziari per le imprese), controllata dal nostro ministero dell’economia e delle finanze. Il costo della polizza, circa 10 miliardi di Kes, fu ritenuto esorbitante da esperti del settore locali. Secondo alcuni era addirittura pari a 15 volte quello di mercato. Un altro fatto che destò molti interrogativi.

L’appalto per la costruzione venne dato alla Cmc (Cooperativa muratori e cementisti) di Ravenna, tra le più importanti cooperative italiane, leader nel settore della costruzione di grandi infrastrutture e presente in Africa da decenni. Ma in quel periodo era già in forte crisi; presto avrebbe dichiarato fallimento. Il sito africano di approfondimento the elephant.info intitolò un servizio sul caso Arror and Kimwarer: theft on a grand scale (Arror e Kimwarer: furto su larga scala). Un titolo così chiaro, e duro, non era campato per aria.

Infatti, a giustificazione della decisione di bloccarne la costruzione, il presidente Uhuru Kenyatta aveva dichiarato che le due dighe non erano altro che un canale di appropriazione indebita di fondi pubblici. Ruto, allora vicepresidente in rotta di collisione con Kenyatta, disse invece che il blocco delle dighe era motivato politicamente, dal momento che erano state da lui fortemente volute.

Sta di fatto che, alcune settimane prima del blocco, un’inchiesta del Directorate of Criminal Investigation (Dci) aveva messo in luce la perdita di 55,8 Kes di fondi pubblici in manovre legate alla costruzione delle due dighe. Furono arrestati 15 funzionari governativi di alto profilo, compreso il ministro del tesoro, Henry Rotich. Vennero loro mosse le accuse di frode e abuso d’ufficio. Fu anche emesso un avviso di arresto internazionale per alcuni dirigenti della Cmc.

La diga Itare

La storia della diga di Itare è leggermente diversa. Il progetto, del valore di 34 miliardi di Kes (pari a oltre 241 milioni di euro) è stato finanziato dall’Italia al governo del Kenya attraverso un prestito acceso presso Banca Intesa e la banca europea BNP Paribas. L’accordo venne firmato durante la visita a Nairobi dell’allora primo ministro Matteo Renzi, nel luglio del 2015. La costruzione della diga si interruppe nel 2018 a causa del fallimento della Cmc cui era stata appaltata.

Anche nel caso di questo progetto gli aspetti problematici sono numerosi e sono stati indagati dal Dci. Diversi funzionari, la maggior parte dei quali lavoravano o avevano lavorato al ministero delle risorse idriche, furono chiamati a deporre e alcuni incriminati nel dicembre del 2019. Tra gli altri fu interrogato anche il ministro delle risorse idriche stesso.

La Cmc aveva già ricevuto una parte dei fondi, aveva acquistato i macchinari e iniziato i lavori. Dopo la dichiarazione di fallimento abbandonò il cantiere con tutte le attrezzature che, con il passare del tempo, si deterioravano visibilmente. La Cmc venne indagata per questo e per altre irregolarità, compreso il mancato pagamento di centinaia di milioni di scellini di tasse.

L’interesse del governo del Kenya nella firma di un accordo con il governo italiano per riprendere i lavori di costruzione delle dighe è piuttosto chiaro.

Dal punto di vista politico è una vittoria del presidente Ruto che mette così a tacere molte chiacchiere su suoi interessi specifici, se non personali.

C’è anche un importante risvolto economico e di immagine internazionale. La cancellazione dei progetti comportava problemi legali per la rottura dei contratti. Il contenzioso avrebbe dovuto essere discusso prossimamente e il Kenya avrebbe probabilmente dovuto pagare forti penali. Ora naturalmente le cause in corso non hanno più ragione di continuare.

Ci si chiede quale possa essere, invece, l’interesse dell’Italia nel firmare un accordo per la ripresa di progetti tanto fortemente chiacchierati.

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