Kinberley Process: nessuna censura alla Russia sui "diamanti insanguinati"
Botswana Mali Rep. Centrafricana
Sulla guerra in Ucraìna l’istituzione mostra tutte le sue debolezze
Kinberley Process: nessuna censura alla Russia sui “diamanti insanguinati”
La riunione in Botswana dell’organismo internazionale di controllo sui diamanti che finanziano i conflitti si è chiusa con un nulla di fatto. Al centro delle discussioni il ruolo dei diamanti russi nella guerra in Ucraìna
27 Giugno 2022
Articolo di Antonella Sinopoli
Tempo di lettura 5 minuti

Cinque giorni di discussione e un nulla di fatto. Controllare l’uso dei diamanti commerciati dalla Russia affinché non vengano utilizzati per finanziare la guerra in Ucraìna non sarà possibile.

Il Kimberley Process mai come in questo caso mostra le sue debolezze. Nato nel 2003 sulla scia delle devastanti guerre civili in Angola, Sierra Leone e Liberia, in gran parte finanziate dal commercio illecito di diamanti, ha l’obiettivo di garantire uno schema di certificazione per i diamanti grezzi (il Kimberley Process Certification Scheme – Kpcs), che tracci ed escluda, dunque, dal commercio i diamanti, cosiddetti “insanguinati”.

Diamanti che cioè servono ad accrescere la forza militare, il potere e la violenza di gruppi ribelli che minano i governi legittimi. Nella riunione – svoltasi dal 20 al 24 giugno – si sarebbe dovuto andare oltre e inserire nel metodo di certificazione anche eserciti e stati impegnati in conflitti. Anzi, uno stato, quello russo.

Era questo il punto caldo del recente meeting ospitato in Botswana. Un incontro nato in realtà già senza speranze. Qualche giorno prima dell’avvio dei lavori la Russia – sostenuta da Bielorussia, Kirghizistan, Repubblica Centrafricana e Mali (tutti e quattro i paesi l’hanno sostenuta nei recenti voti dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite) – aveva silurato la proposta, sponsorizzata dall’Occidente, di discutere se i suoi diamanti stiano finanziando la guerra in Ucraìna.

È stato lo stesso presidente del KP, Jacob Thamage, intervenendo alla riunione di chiusura, ad affermare che «gli sforzi dell’Unione europea e dei suoi alleati non sono andati a buon fine a causa della mancanza di consenso». Etichettare come “diamanti insanguinati” quelli russi – così come richiesto alla vigilia degli incontri da Ue, Australia, Gran Bretagna, Canada, Stati Uniti e dal rappresentante ucraino – richiederebbe un ampliamento della stessa definizione.

Cosa chiesta da tempo dalla Kimberly Process Civil Society Coalition. Fatto sta che il KP – che unisce su mandato delle Nazioni Unite 85 paesi, i principali produttori mondiali di diamanti – prevede l’unanimità delle decisioni. Una norma più volte criticata. Ed infatti da tempo la Coalizione della società civile del KP – le giornate di lavori erano ospitate proprio dalla Coalizione – chiede riforme che possano garantirne il funzionamento, anziché bloccarlo.

E sono proprio gli attivisti a non mettere in dubbio la relazione tra l’attacco e l’escalation della guerra in Ucraìna e le gemme preziose di cui la Russia è il maggior produttore al mondo. E sono sempre loro che hanno chiesto la sospensione del paese aggressore dal KP, fino a che non si ritirerà dall’Ucraìna.

Il fatto che il KP non sia riuscito a censurare la Russia durante gli incontri in Bostwana mette in dubbio la stessa ragion d’essere dell’organismo. Ricordiamo che il KP include il World Diamond Council (Wdc), organizzazione che rappresenta l’intero ciclo della catena dei diamanti: dalle società estrattive ai produttori, dai commercianti alla vendita al dettaglio.

Anche il presidente del Wdc, Edward Asscher, ha ribadito la necessità di riforme all’interno del KP, in particolare la revisione (e ampliamento) della definizione di “diamanti del conflitto”. Assher ha anzi ricordato che «le risorse generate dai diamanti dovrebbero contribuire allo sviluppo delle economie e delle società. Una capacità che sarà messa a dura prova se affrontare la tracciabilità dei diamanti non terrà conto delle nuove sfide». Sottinteso, un conflitto generato da uno stato.

Intanto il delegato russo del KP in una lettera del maggio scorso aveva sottolineato che non ci sono implicazioni e legami tra il commercio dei diamanti e la guerra, e che la questione posta avrebbe un carattere politico.

È stato lo stesso rappresentante ucraìno dell’KP, Andrii Tkalenko, a proporre e sostenere, insieme alla Coalizione della società civile, due emendamenti allo schema di certificazione: ampliare la definizione per includere gli attori del governo e consentire ai paesi KP di espellere, a maggioranza, un paese che viola un altro.

«L’inerzia minerebbe la credibilità e l’integrità del processo di Kimberley non solo come meccanismo di prevenzione dei conflitti, ma anche come meccanismo di regolamentazione del commercio», ha affermato Tkalenko in una lettera a Marika Lautso-Mousnier della Commissione europea.

D’altra parte è già da anni che si parla di riformare il KP, per esempio quella parte che riguarda la definizione stessa dei conflitti a cui legare lo schema di tracciamento e certificazione. Nel frattempo Stati Uniti e Gran Bretagna hanno già sanzionato – nell’aprile scorso – la russa Alrosa (Alrs.MM), il più grande produttore mondiale di diamanti grezzi, che lo scorso anno ha rappresentato circa il 30% della produzione mondiale ed è in parte di proprietà statale.

E poi c’è la Repubblica Centrafricana, l’unico paese al mondo attualmente soggetto a un embargo da parte del KP – dal 2013 con alleggerimento delle restrizione dal 2017 – per le esportazioni di diamanti grezzi. La Russia, con la quale il Centrafrica ha stretti legami commerciali e di gestione della sicurezza, è stata tra le principali artefici del lavoro di “diplomazia” che ha portato alla revoca parziale di tali restrizioni.

I principali produttori mondiali di diamanti torneranno in Botswana a novembre per discussioni plenarie. Chissà se anche questi saranno incontri interlocutori e con lo stesso convitato di pietra.

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