La guerra degli eserciti stranieri - Nigrizia
Armi, Conflitti e Terrorismo Libia Sudan
Mercenari sudanesi in Libia
La guerra degli eserciti stranieri
La presenza più discussa è quella delle famigerate Forze di supporto rapido, la milizia guidata dall’attuale vicepresidente del Consiglio supremo sudanese. Ma nel paese nordafricano i mercenari sono molti e di diverse provenienze
15 Luglio 2020
Articolo di Bruna Sironi
Tempo di lettura 6 minuti
Mercenari in Libia
Mercenari in Libia (Credit: basnews.com)

La presenza di mercenari stranieri al fianco dei gruppi armati locali che si combattono in Libia non è una notizia nuova. Già durante i combattimenti che portarono alla caduta del regime del colonnello Gheddafi si parlava di miliziani africani coinvolti nel conflitto.

In particolare, il governo sudanese del presidente ora deposto Omar El-Bashir, a sua volta coinvolto a sostegno dei gruppi di opposizione islamisti, denunciava la presenza dei movimenti armati darfuriani al fianco dell’esercito del rais che li aveva sostenuti, finanziati, armati ed ospitati durante la guerra civile in Darfur.

In un articolo pubblicato il 12 settembre 2011, a ridosso della caduta del regime, la BBC raccolse la testimonianza di Khaled Ibrahim, allora capo del Jem (Justice and equality movement) uno dei maggiori gruppi di opposizione armata darfuriani, che raccontava il suo rocambolesco ritorno in Sudan, sfuggendo all’intelligence del governo di Khartoum che aveva tentato di catturarlo già in territorio libico.

Una pratica consolidata

La pratica di reclutare miliziani stranieri è continuata e si è consolidata nel corso della guerra civile libica. Recentemente la Suna (Sudan news agency) l’agenzia di stampa ufficiale sudanese, ha mostrato un video girato ad Al Genina, capoluogo del Darfur Occidentale, in cui si vedono dozzine di giovani seduti per terra circondati da veicoli dell’esercito carichi di uomini che li tengono sotto la mira di numerose armi da fuoco. La Suna afferma che si trattava di almeno 122 persone, tra le quali 8 minorenni,  accusate di essere in procinto di passare il confine per combattere in Libia.

E’ solo l’ultimo episodio di una serie di fatti accertati. Lo scorso marzo un gruppo di avvocati sudanesi ha iniziato un’azione legale contro un’agenzia di viaggi locale che aveva facilitato la firma dei contratti di lavoro e i viaggi di decine di giovani sudanesi, ingaggiati dalla Black Shield Security Services, una compagnia basata negli Emirati Arabi Uniti, che, secondo l’accusa, aveva lo scopo di inviarli sui campi di battaglia in Libia, a fianco delle truppe del generale Khalifa Haftar, e nello Yemen.

I giovani sostengono di essere stati ingannati con la promessa di un lavoro come guardie e di essere stati poi chiusi in campi per l’addestramento militare in attesa di raggiungere unità mercenarie. La Black Shield afferma invece che la tipologia del lavoro offerto era chiaro fin dal momento della firma del contratto.

Miliziani su entrambi i fronti

Nel tormentato paese i mercenari sono molti e di diverse provenienze. In un rapporto commissionato dall’Onu ad un gruppo di esperti e discusso dal Consiglio di sicurezza lo scorso dicembre, si dice che entrambe le parti attualmente in conflitto, l’esercito del governo riconosciuto dall’Onu e quello del generale Haftar, ricevono continuamente “armi ed equipaggiamento militare, supporto tecnico e combattenti non libici, in violazione delle sanzioni [imposte al paese]. Giordania, Turchia ed Emirati Arabi Uniti” sono coinvolti nel traffico senza neppure fare troppi sforzi per mascherarlo. “Gli esperti hanno anche identificato la presenza di gruppi armati chadiani e sudanesi” a fianco delle due parti belligeranti.

Ai gruppi armati sudanesi è dedicato un lungo paragrafo. Vi sono nominati il Sudan liberation army di Abdul Wahid (Sla-AW), il Sudan liberation army di Minni Minawi (Sla-MM), il Justice and equality movement (Jem), cioè tutti i più importanti movimenti di opposizione armata del Darfur, insieme ad una coalizione di altri più piccoli (Gathering of the Sudan liberation forces). E vi si dice che sono schierati su entrambe le parti del fronte, il Jem con l’esercito tripolitano e gli altri con l’esercito nazionale libico (Lna) del generale Haftar.

Le Forze di supporto rapido e il generale Hemetti 

Ma lo spazio maggiore viene riservato alle Rapid support forces (Rsf), le Forze di intervento rapido, il cui comandante, generale Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto anche come Hemetti, è ora il vicepresidente del Consiglio supremo, cioè l’organo di presidenza del Sudan in questo periodo di transizione.

Al momento dei fatti riportati nel rapporto degli esperti dell’Onu, il Sudan era guidato da una giunta militare, il Transitional council of Sudan, di cui Hemetti era già un esponente di primo piano. Secondo il rapporto citato, almeno 1.000 uomini delle Rsf furono dispiegati in Libia il 25 luglio 2019, con l’obiettivo dichiarato di salvaguardare infrastrutture strategiche e permettere alle truppe di Haftar di combattere sul campo di battaglia. Già dal 17 giugno gli uomini delle Rsf stazionavano nell’oasi di Kufra.

Gli esperti hanno anche visionato un contratto firmato da Hemetti, a quanto sembra per conto della giunta militare sudanese, con una compagnia canadese, la Dickens & Madson (Canada) Inc., attraverso cui sarebbero dovuti transitare i pagamenti per i servizi ad Haftar.

L’unico punto che gli esperti non hanno potuto ancora chiarire è chi sia il destinatario dei fondi: la giunta militare o direttamente le Rsf? E’ evidentemente una questione di una certa rilevanza perché testimonia il grado di coinvolgimento delle giunta militare nella crisi libica e nella violazione delle sanzioni dell’Onu.

Le Rsf sono anche considerate da diverse fonti tra le più importanti forze sostenitrici di Haftar, insieme al Wagner Group, legato al presidente russo Putin, che dispiegherebbe attualemente almeno 1.400 uomini, e a diversi gruppi islamici salafiti, sostenuti da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Ora il coinvolgimento sudanese in Libia potrebbe essere cambiato. In un’intervista rilasciata nei giorni scorsi all’agenzia France Press, la dimissionaria ministra degli esteri, Asma Abdalla, ha dichiarato che non ci sono sudanesi coinvolti nella guerra civile libica. Almeno non con l’appoggio più o meno esplicito del governo, avrebbe forse dovuto aggiungere.

Una minaccia per il futuro Sudan

In un reportage pubblicato lo scorso 24 dicembre dal The Guardian, autorevole quotidiano britannico, si dice che centinaia di mercenari sudanesi stavano raggiungendo la Libia in quel periodo. I comandanti di due diverse unità dichiaravano che i miliziani erano così numerosi che non sapevano dove metterli: “non abbiamo la capacità di sistemare questi grandi numeri”. Stimavano che, in quel periodo, fossero almeno 3.000 i mercenari sudanesi in Libia.

Nel reportage sono riportate anche le ragioni della presenza sudanese nel paese. Alcune dichiarazioni sono molto preoccupanti per il futuro stesso del Sudan: “Siamo qui giusto per avere una base sicura e ottenere armi e altri mezzi logistici militari, per poi tornare in Sudan”. “Non crediamo che El-Bashir sia finito … Ora siamo in Libia ma ci sono altre battaglie che ci aspettano in Sudan”.

La crisi libica – attraverso la quale si combatte ormai il conflitto che ha già devastato il Medio Oriente, tra la Turchia di Erdogan con i suoi alleati vicini all’ideologia dell’islam politico dei Fratelli musulmani, e l’Arabia Saudita, che si ispira invece alla dottrina islamica radicale salafita, alleata con gli Emirati Arabi Uniti e sostenuta dall’Egitto e dalla Russia – rischia non solo di non trovare una soluzione in tempi brevi, ma anche di fare da incubatrice a una crisi regionale più vasta, proprio anche mediante il coinvolgimento di gruppi mercenari che potrebbero usare altrove la forza militare e finanziaria così acquisita.

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