Migranti no, decreto flussi sì: paradossi italiani - Nigrizia
Economia Migrazioni
Che lavori offre l’Italia agli immigrati?
Migranti no, decreto flussi sì: paradossi italiani
Secondo le dichiarazioni del ministro dell'interno Matteo Piantedosi, i posti di lavoro vacanti, compresi quelli stagionali, dovrebbero andare prioritariamente alle persone che percepiscono il reddito di cittadinanza. Forti dubbi sull'attuabilità della proposta. Persiste, finora, la difficoltà dell'Italia nell'affrontare il problema della regolarizzazione dei permessi di soggiorno.
02 Dicembre 2022
Articolo di Arianna Baldi
Tempo di lettura 4 minuti

Nel dibattito mediatico italiano, la questione migratoria continua a rimanere centrale, nonostante attualmente solo il 12% degli italiani, stando agli ultimi sondaggi di Ipsos, la considerino la vera priorità del paese.

Il tutto appare, tra l’altro, confuso: c’è lo scontro aperto tra governo e Ong (attraverso le quali arriva solo il 16% dei migranti della rotta mediterranea, senza contare tutte le persone che raggiungono l’Italia attraverso la rotta balcanica) e, sul banco dei temi caldi, la questione del decreto flussi: di quanti migranti ha bisogno l’Italia?

Proposte controverse

Al Dataroom di Milena Gabanelli, lo scorso martedì il ministro degli Interni Matteo Piantedosi ha dichiarato che nel nuovo decreto, attualmente in fase di elaborazione, dovrebbe essere inserita una correlazione tra il numero di persone ammesse in Italia e gli attuali beneficiari del reddito di cittadinanza. Secondo il ministro, bisognerebbe prima integrare questi ultimi a livello lavorativo, prima di procedere all’accoglienza di lavoratori extracomunitari.

Prima gli italiani: non è solo uno slogan, è quanto in realtà già presente in quello che comunemente viene chiamato Testo unico sull’immigrazione (ovvero, il decreto legislativo n. 286 del 1998). Come recita l’articolo 22, comma 2:

«Il datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia che intende instaurare in Italia un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato con uno straniero residente all’estero deve presentare, previa verifica, presso il centro per l’impiego competente, della indisponibilità di un lavoratore presente sul territorio nazionale, idoneamente documentata, allo sportello unico per l’immigrazione della provincia di residenza ovvero di quella in cui ha sede legale l’impresa».

Il numero di lavoratori stagionali ammessi dal decreto flussi è aumentato esponenzialmente negli ultimi dieci anni, passando dai 15mila ingressi concessi tra il 2014-2015, ai 70mila del 2022, sulla spinta del crescente bisogno di forza lavoro: lo scorso mese, Coldiretti ha annunciato la necessità di almeno 100mila migranti per i lavori stagionali. 

Va sottolineata una cosa: il decreto flussi, sulla carta, non riguarda le persone che hanno già raggiunto l’Italia al di fuori del circuito legale (i cosiddetti migranti irregolari). Dovrebbe valere, a livello giuridico, per le persone che non sono ancora nel paese e che fanno domanda, dall’estero, per quel lavoro specifico – da qui, il nome del decreto. Di fatto però, questo tipo di “flusso” programmato non avviene attuato da tempo.

Lavoratori extracomunitari: sì, ma…

L’affermazione di Piantedosi, che secondo alcuni esperti del settore ha risvolti molto probabilmente del tutto inapplicabili, scoperchia la decennale ipocrisia di questo paese sul tema delle migrazioni: si parla tanto di respingimenti, ma è ormai chiaro che l’Italia ritiene che il compito di svolgere i lavori stagionali, e in generale i lavori più umili, spetti, di fatto, ai migranti.

Nel decreto flussi 2022, è specificato infatti che delle 69.700 persone migranti ammesse, solo 27.700 hanno diritto all’ingresso in Italia per svolgere un lavoro non stagionale (e di questi, 20mila devono provenire da un paese che ha già sottoscritto o sta per sottoscrivere accordi di cooperazione in materia migratoria – per esempio relativi ai rimpatri).

Il problema è strutturale e lo ha dimostrato anche il fallimento clamoroso della sanatoria del 2020, per il quale si possono citare due esempi abbastanza esaustivi: il primo, il fatto che a distanza di più di un anno solo una persona su quattro, tra i richiedenti, aveva effettivamente ottenuto i documenti.

Il secondo è ancora più emblematico: in Italia, nel 2019, l’89% degli impiegati domestici erano donne, secondo le stime Istat. Eppure, delle persone che hanno richiesto la regolarizzazione nel settore domestico nel 2020, due su tre (il 64%) erano uomini. Perché questo? Il campo applicabile per la domanda di regolarizzazione era ridotto al solo settore agricolo e a all’ambito domestico. Molti immigrati e richiedenti asilo hanno dovuto improvvisarsi colf e badanti per ottenere una regolarizzazione che avrebbero potuto comunque ottenere se fossero stati presi in considerazione altri lavori.

Il punto è che, in Italia, tra i lavori che necessitano di rinforzi non rientrano solo le mansioni comunemente intese come “umili”.

Di nuovo secondo i dati Istat, ci sono circa 400mila posti vacanti non stagionali e molte aziende segnalano la carenza di profili professionali, che comunque non possono in gran parte essere ricoperti da chi percepisce il reddito di cittadinanza. Un report pubblicato da Anpal nel 2021, infatti, dimostra che un terzo delle persone che percepiscono il reddito, non ha nessuna esperienza lavorativa pregressa, mentre il 72,3% ha ottenuto solo il diploma di scuola secondaria inferiore.

Degli stranieri residenti in Italia, il 48% ha almeno un titolo di scuola superiore, mentre la quota dei laureati è dell’11,1% (se il numero pare basso, basta confrontarlo con la percentuale di italiani laureati, che si attesta intorno al 20%, ben al di sotto della media europea).  

Eppure, il tasso occupazionale delle persone extracomunitarie istruite non segna alcun vantaggio rispetto a quelle non istruite.

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