Ipocrisia italiana: il lavoro povero necessario - Nigrizia
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Dossier statistico immigrazione / Focus sul lavoro domestico
Ipocrisia italiana: il lavoro povero necessario
Segregata in lavori mal pagati, pesanti, spesso irregolari ma necessari al welfare e all’economia del paese, la popolazione straniera costituisce una presenza occupazionale importante. Dall’ultimo incontro sul Dossier statistico immigrazione dedicato al comparto domestico, emergono due preoccupazioni: chi sostituirà le 319mila persone che lasceranno il lavoro di cura delle case e delle persone tra dieci anni? Che senso hanno i cavilli burocratici che fanno diventare la regolarizzazione una corsa a ostacoli?
21 Febbraio 2022
Articolo di Jessica Cugini
Tempo di lettura 5 minuti

Presentato a ottobre dello scorso anno, il Dossier statistico immigrazione 2021 continua a declinare le voci del suo importante lavoro anche nel 2022. Venerdì 18 febbraio lo ha fatto insieme a Oxfam, il ministero del lavoro italiano e Assindatcolf, per cercare di definire i contorni di un lavoro tipicamente femminile, molto diffuso e povero, come quello domestico e della cura delle persone. Una realtà occupazionale che impiega in Italia oltre 900mila individui, per lo più di origine straniera (633mila, il 70%) e per il 90% donna.

Un lavoro pesante, spesso mal pagato, precario e poco riconosciuto socialmente, quello straniero nelle case, che diventa la fotografia, secondo Luca Di Sciullo, presidente di Idos che cura il report annuale, «di un’occupazione che è sempre stata povera. Dove si registra la pluridecennale mancanza di politiche adeguate, che invece di aiutare l’emersione hanno finito per cronicizzare modelli di subalternità delle persone straniere nell’inserimento lavorativo e sociale. Tanto che potremmo parlare di segregazione occupazionale: nonostante le professionalità, gli stranieri finiscono per inserirsi nei livelli lavorativi più bassi. Lo mostrano, insieme al domestico, vari settori: l’agricoltura, il facchinaggio, le imprese di pulizie, l’ambito del turismo, tra camerieri e lavapiatti, o quello dei trasporti».

E se questa presenza e fragilità erano già palesi prima del Covid, con l’avvento della pandemia, che ha fatto calare in maniera importante sia il tasso di occupazione che quello dell’inattività, la debolezza strutturale che caratterizza il mondo del lavoro straniero è emersa in tutta la sua recrudescenza. «Per la prima volta nel 2020, il tasso di occupazione straniera, solitamente più alto di almeno di dieci punti rispetto all’occupazione italiana, si è allineato. In maniera vertiginosa soprattutto per le donne, ferme al 44%. Tra queste poi è cresciuta l’inattività. Quasi la metà delle donne di origine straniera in Italia, pur essendo in età attiva, dopo aver perso il lavoro ha smesso di cercarlo».

Allarme sostituzione collaboratrici famigliari

Ed è proprio per questa fascia femminile, che riguarda il lavoro domestico e di cura, che durante l’incontro scatta l’allarme: «Tra una decina d’anni circa – avverte Di Sciullo –, oltre la metà di queste donne straniere che oggi si occupano della popolazione anziana sarà in età pensionabile e vi sarà il problema della sostituzione. Si parla di 319mila tra lavoratrici e lavoratori». Un numero importante che si aggiunge ad altri numeri, come quello della denatalità, del record negativo delle nascite che già per il 2019 aveva raggiunto i numeri del 1861, anno dell’unità d’Italia. E soprattutto alla preoccupazione di un dato di fatto: «Nonostante le crisi del 2008 e questa, dovuta al Covid, i settori di occupazione straniera rimangono non appetibili agli italiani».

Così, se vi è chi continua con il leitmotiv “prima gli italiani”, di fatto, a sentire anche Giulia Capitani, policy advisor su immigrazione e asilo di Oxfam Italia, occorre rivedere la modalità degli ingressi per lavoro in Italia. A mostrarne la necessità è stata la stessa sanatoria dell’estate 2020. «Partita come necessità di rispondere a un bisogno di manodopera nelle campagne e allargatasi all’ambito domestico, di fatto ha dimostrato quanto ci fosse richiesta su quest’ultimo ambito. Basti pensare che delle oltre 207mila domande presentante, l’85 riguardava il settore domestico e di cura, in cui si sono contate oltre 176mila domande».

Tra arrivi e irregolari forzati

Come poi sia andata a finire, lo si sa, «secondo la campagna Ero straniero di cui la stessa Oxfam fa parte, i dati (fermi a novembre dello scorso anno) raccontano di un 38% di domande evase, di 78.897 permessi di soggiorno in via di rilascio, che non significa permessi in mano, ma prese in carico». E anche qui vi è un problema, oltre a chi ancora aspetta una regolarizzazione e nel frattempo ha visto morire la propria persona anziana, sulla risposta alle domande in attesa subentra un allarme: «Sono state assunte nelle prefetture per rispondere alla sanatoria, attraverso contratti interinali, 700 persone – spiega Capitani –. Persone cui ora scade il contratto e il cui lavoro vede sommarsi quello che sta iniziando ora con l’entrata in vigore del recente Decreto flussi». Una sommatoria di regolarizzazioni che fa presumere un ulteriore intasamento nello smaltimento delle pratiche, perché sono sempre gli stessi gli uffici coinvolti alla regolarizzazione.

Il rischio è che continui a crescere il numero delle persone irregolari, che magari stanno già lavorando e che saranno costrette a continuare a farlo senza l’emersione cui ambiscono. Preoccupazione che Stefania Congia, della direzione generale Immigrazione e politiche di integrazione del ministero del lavoro, fa propria: «L’irregolarità diffusa non giova a nessuno. Tanto più le procedure sono complicate tanto più si crea irregolarità. Una discriminazione palese è la mancata possibilità da parte di una persona di origine straniera ad avvalersi dell’autocertificazione come fa quella italiana. Tutte le norme che stabiliscono requisiti discriminatori atte solo a ridurre il bacino degli utenti che rivendicano un diritto sono norme discriminatorie. Infatti abbiamo visto che poi vengono cassate a livello italiano o internazionale».

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