Oro: 4 raffinerie controllano il 66% delle attività minerarie africane
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Rapporto della Fondazione Swissaid
Oro: 4 raffinerie (sudafricane e svizzere) controllano il 66% delle attività minerarie africane
Un’indagine condotta tra gennaio 2021 e febbraio 2023 ha coinvolto 16 raffinerie e 116 miniere d’oro. Secondo questo rapporto, nel 2020 sono state lavorate più di 450 tonnellate di oro per un valore di oltre 25 miliardi di dollari. Manca trasparenza. E segnalate numerose violazione dei diritti
02 Aprile 2023
Articolo di Giba
Tempo di lettura 6 minuti

Tra il 2015 e il 2023, una ventina di raffinerie d’oro situate in Sudafrica, Canada, Svizzera e Cina intrattengono o hanno intrattenuto 142 rapporti commerciali con 116 miniere d’oro industriali in Africa. E solo 4 di queste raffinerie d’oro concentrano il 66% dei rapporti commerciali con società minerarie africane coinvolte nell’estrazione di questo metallo prezioso.

Lo rivela un nuovo rapporto pubblicato il 30 marzo da Swissaid, intitolato Out of the Shadows: The Business Relationships Between Africa’s Industrial Gold Mines and Refineries (Fuori dall’ombra: Le relazioni commerciali tra le miniere d’oro industriali e le raffinerie africane), redatto da Marc Ummel e Yvan Schulz e frutto di un’indagine condotta tra gennaio 2021 e febbraio 2023.

Secondo questo rapporto, nel 2020 sono state lavorate più di 450 tonnellate di oro per un valore di oltre 23 miliardi di franchi svizzeri (oltre 25 miliardi di dollari) attraverso queste partnership. Swissaid è una fondazione svizzera specializzata nella cooperazione allo sviluppo

In base all’indagine effettuata, l’oro industriale africano viene raffinato principalmente in Svizzera, Sudafrica e, in misura minore, in India. Le quattro raffinerie, con sede in questi paesi, rappresentano 96 dei 142 rapporti d’affari individuati. Si tratta della sudafricana Rand Refinery (49 i rapporti d’affari identificati), della svizzera Metalor (26) e delle due raffinerie, svizzera e indiana, del gruppo MKS Pamp (21). Sono coinvolte anche alcune raffinerie emiratine e cinesi, oltre alla Fidelity Gold Refinery in Zimbabwe.

Le 4 raffinerie

Fondata nel 1920, Rand Refinery ha sede in Sudafrica. Questa raffineria è di proprietà delle principali società di estrazione dell’oro sudafricane come AngloGold Ashanti, Sibanye Gold e Drdgold. Dal 96 al 99,6% dell’oro lavorato durante il periodo in esame dalla raffineria Rand proviene da miniere industriali situate in 14 paesi africani, tra cui Sudafrica, Ghana, Tanzania, Namibia e Rd Congo.

Con sede in Svizzera, Metalor lavora oro proveniente da 11 paesi africani, tra cui Burkina Faso, Mali, Marocco e Nigeria.

Con sede a Ginevra, il gruppo Mks Pamp dispone di due raffinerie, situate in Svizzera e in India, che lavorano oro proveniente da 7 paesi del continente, tra cui Tanzania, Mauritania, Liberia e Burkina Faso.

Il rapporto si concentra solo sull’oro industriale e non copre la fornitura di oro artigianale e oro riciclato.

Secondo l’indagine, solo due paesi africani hanno raffinerie operative: il Sudafrica (Rand Refinery) e lo Zimbabwe (Fidelity Gold Refinery).

Swissaid indica, inoltre, che, con l’eccezione della raffineria zimbabweana e di alcune raffinerie emiratine e cinesi coinvolte in un numero limitato di forniture dall’Africa, le 16 raffinerie con relazioni commerciali con le società aurifere industriali africane sono certificate secondo lo standard del London Bullion Market Association (Lbma), l’organizzazione commerciale che sovrintende ai mercati all’ingrosso di oro e argento a Londra.

Poca trasparenza

Sono contrastanti le pratiche di queste raffinerie in termini di trasparenza dei loro rapporti commerciali. Interrogate, sei raffinerie hanno confermato i nomi delle miniere industriali africane da cui proviene l’oro. È il caso di Metalor (26 miniere), PX Precinox (1), The Perth Mint (5), Nadir Metal Rafineri (2), Italpreziosi (1) ed Emirates Minting (3).

Altre raffinerie, invece, si sono rifiutate di confermare le loro relazioni a meno che Swissaid non firmasse un accordo di non divulgazione. Si tratta di Rand Refinery, Mks Pamp, Mmtc-Pamp, Argor-Heraeus, Asahi Refining Canada e Emirates Gold Dmcc.

Alcune raffinerie si sono anche opposte alle società minerarie affinché non rivelassero i loro nomi. La maggior parte dei “raffinatori” restii a divulgare i dati richiesti si è rifugiata dietro l’argomento della riservatezza dei contratti e degli accordi di raffinazione. Oltre a questa argomentazione, Mks Pamp ha invocato anche «motivi competitivi e di sicurezza».

Giustificazioni che reggono poco.

Come diverse raffinerie, anche alcune società minerarie si sono rifiutate di confermare i loro rapporti commerciali, sebbene le informazioni su questo argomento siano già di dominio pubblico: i loro concorrenti pubblicano questo tipo di informazioni e lo fanno anche le parti con cui sono sotto contratto.

Gravi violazioni

Swissaid afferma di aver scoperto nella maggior parte delle miniere industriali oggetto dell’indagine «gravi problemi, in particolare legati alle violazioni dei diritti umani (danni alla salute delle popolazioni locali, morte dei dipendenti delle miniere, esproprio di terreni, sfollamento forzato delle popolazioni locali…), degrado ambientale (scarichi di polveri sottili, inquinamento delle falde acquifere, inquinamento del suolo causato dall’uso di cianuro, arsenico e piombo…) e accuse di corruzione ed evasione fiscale», rilevando che tali problemi sono già stati  individuati nei rapporti delle organizzazioni della società civile, in quelli delle organizzazioni internazionali, nelle inchieste giornalistiche e negli studi scientifici.  

Secondo la ricerca, gli standard stabiliti dalla London Bullion Market Association, l’autorità mondiale per i metalli preziosi, non sono sufficienti a impedire alle raffinerie d’oro di nascondere l’esistenza di problemi ambientali e di diritti umani presso i fornitori africani.

Tuttavia, l’attuale guida alla divulgazione della Lbma dice che le raffinerie possono scegliere di divulgare il paese di origine. Secondo il rapporto, la legislazione nazionale e gli standard industriali dovrebbero obbligare le raffinerie a rivelare non solo il paese, ma anche i nomi di tutte le miniere che le riforniscono. «Il livello di informazioni che le raffinerie della Lbma sono tenute a divulgare è chiaramente insufficiente».

I ritardi della Lbma nel soddisfare pienamente le linee guida dell’Ocse sono «difficili da comprendere», si legge nel rapporto. La lentezza, aggiunge, renderà più difficile il riconoscimento dello standard della Lbma da parte del regolamento europeo sui minerali dei conflitti, come richiesto dalla stessa London Bullion Market Association.

Le violenze della polizia (pagata)

La mancanza di trasparenza non permette di migliorare le condizioni dei lavoratori delle miniere e delle comunità che vivono nelle vicinanze. In alcune miniere, le guardie di sicurezza o la polizia sono state coinvolte negli omicidi.

Sebbene le compagnie minerarie, a volte, diano la colpa degli abusi alla polizia, in realtà quest’ultima viene pagata dall’azienda per proteggere il sito. Le vittime sono spesso minatori d’oro che sono stati espropriati della loro terra e dei loro mezzi di sostentamento, oppure saccheggiatori o cercatori d’oro illegali.

L’oro dei conflitti è la principale fonte di denaro per i gruppi armati dell’area orientale della Rd Congo. Secondo il Dipartimento del tesoro degli Stati Uniti, oltre il 90% dell’oro estratto nella Rd Congo viene contrabbandato in paesi come il Rwanda e l’Uganda, prima di essere raffinato ed esportato sui mercati internazionali.

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