Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato ieri una risoluzione che alleggerisce l’embargo sull’esportazione di armi verso la Repubblica democratica del Congo, embargo che dura dal 2000.

La risoluzione cancella la norma che fino a ieri esigeva che i paesi informassero il Consiglio di sicurezza e i suoi 15 membri di ogni vendita di armi o di aiuto militare alla Rd Congo. Norma contestata da lungo tempo dai governi congolesi perché creava lungaggini burocratiche e impediva di contrastare efficacemente i gruppi armati che imperversano del nordest del paese.

Il portavoce del governo congolese, Patrick Muyaya, non ha perso l’occasione di affidare a Twitter una questo commento: «Una battaglia vinta, una ingiustizia riparata».

Rimane il fatto che le ragioni dell’instabilità nel nordest non sono imputabili alla mancanza di armi, piuttosto all’abbandono di quelle regioni da parte del governo centrale, alla inaffidabilità degli alti comandi dell’esercito, all’azione destabilizzante di Rwanda e Uganda. Farne una questione di rifornimento di armi è fuorviante e semplicistico.

Nelle province dell’Ituri, Nord Kivu e Sud Kivu è presente anche, da oltre vent’anni, la Missione Onu di peacekeeping (Monusco: 15mila militari impegnati) che è oggetto di critiche da parte delle popolazioni e anche da parte del governo per gli scarsi risultati che ha ottenuto finora.

Sempre nella seduta di ieri, il Consiglio di sicurezza ha rinnovato di un altro anno (fino al 31 dicembre 2023) il mandato della Monusco. (RZ)