Somalia: i giornalisti chiedono sicurezza - Nigrizia
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Adottato un Piano di azione nazionale per la libertà di stampa
Somalia: i giornalisti chiedono sicurezza
Il paese gode di una pessima fama nei confronti dei media e dei loro operatori, sottoposti a frequenti minacce e violenze da parte governativa e dai terroristi. Il cambiamento, sostengono i reporter, deve partire da modifiche legislative
09 Settembre 2022
Articolo di Giuseppe Cavallini
Tempo di lettura 6 minuti
Reporter sul luogo di un attacco terroristico a Mogadiscio (Credit: Amnesty International)

Si è tenuto a Mogadiscio dal 3 al 5 settembre un forum centrato sull’attività giornalistica nel paese del Corno e nell’Africa in genere, organizzato dall’Unione nazionale dei giornalisti somali (Nusoj) con il sostegno della Missione somala dell’Unione Africana per la transizione (Atmis) e dell’Unesco, finalizzato a promuovere la libertà di stampa e di comunicazione.

I partecipanti hanno sottolineato come dei media veramente liberi e indipendenti favoriscano i processi di sicurezza, l’evolversi delle crisi politiche e gli interventi d’emergenza dopo i conflitti, nella ricostruzione delle istituzioni dei paesi colpiti.

Secondo l’Atmis, avere mezzi di comunicazione liberi in Somalia fa parte di un programma più ampio, volto, in tutta l’Africa, a “far tacere le armi”. «Chi lavora nei media – ha dichiarato Fiona Lortan, vicerappresentante del presidente della Commissione dell’Unione Africana per la Somalia (Dsrcc), – ha giocato un ruolo notevole nel prevenire possibili conflitti e per giungere, nell’intero continente, a veder garantito da parte dei governi il diritto all’informazione e alla libertà d’espressione, contribuendo agli sforzi di creare un clima di pace e sicurezza nelle singole nazioni».

Arresti, minacce e violenze

I giornalisti somali, durante il forum, hanno adottato un Piano di azione nazionale (Nap) per promuovere la sicurezza di chi opera nei media e superare la cultura di intimidazione e le forme di violenza contro i professionisti dell’informazione.

Secondo Reporter senza Frontiere (Rsf), la Somalia occupa il 140° posto nella lista di 180 paesi riguardo a libertà di stampa, e il clima dei media somali è definito tra quelli estremamente ostili e instabili.

“Una moratoria sull’arresto di giornalisti e la riforma del codice penale relativo alla legge repressiva sulla libertà dei media, promessi dall’allora presidente Mohamed Abdullahi Farmajo nel 2020 non sono mai stati implementati”, afferma il rapporto di Rsf.

Benché paesi limitrofi come l’Etiopia e Gibuti non abbiano miglior reputazione della Somalia quanto a libertà dei media (mentre il Kenya ha fatto grandi passi di recente, passando dalla posizione 102 alla 69 nella classifica), a rendere più grave la situazione della Somalia è l’attività dei jihadisti di al-Shabaab.

Il gruppo terroristico è responsabile della morte di gran parte dei 50 giornalisti uccisi dopo il 2010. Nel 2021, inoltre, 34 giornalisti sono stati detenuti senza alcuna accusa per lunghi periodi di tempo. E il rapporto aggiunge che le autorità dello stato semiautonomo del Puntland “usano metodi particolarmente repressivi ed esercitano un’enorme pressione sui media, con totale impunità di chi pone in atto gli abusi denunciati”.

La Somalia, quindi, gode di pessima fama nei confronti dei media e di chi ci lavora, sottoposti a frequenti minacce sia da parte governativa che dai terroristi di al-Shabaab.

Pertanto, migliorare il clima in cui lavorano, soprattutto per le donne, è tra le priorità del piano, come confermato da Omar Faruk Osman, segretario generale di Nusoj, che ha affermato: «Per raggiungere un clima di pace vera in Somalia si deve garantire la sicurezza fisica delle corrispondenti donne salvaguardando i loro diritti».

Una giornalista che lavora a Mogadiscio, Amal Hassan, ha altresì denunciato le tante difficoltà da affrontare come donne: minacce, vessazioni, violenza fisica, ricatti e intimidazioni, mentre sono impegnate nel seguire eventi quali dimostrazioni popolari o conversazioni e interviste.

Nonostante i pericoli descritti, i giornalisti e le giornaliste somali si augurano che il nuovo governo del presidente Hassan Mohamud si impegni a rimediare a questa situazione.

Il giornalista Hassan Wali Abukar a Radio Risaala (Credit: Sindacato dei giornalisti somali)

Riforme essenziali

Chi lavora nei media sostiene che il codice penale e la legge sui media, promulgata dal governo precedente, hanno rappresentato la più grave minaccia alla loro sicurezza e chiedono urgenti emendamenti alla stessa, così da rendere meno problematica l’attività di chi lavora nel settore.

Leggi che hanno altresì bloccato ogni progresso nella realizzazione degli Obiettivi di uno sviluppo sostenibile (Sdg) a suo tempo formulati dalle organizzazioni umanitarie delle Nazioni Unite.

Come noto, i 17 obiettivi comuni da raggiungere entro il 2030, elaborati dai rappresentanti di tutti i paesi presenti nell’Onu, mirano a promuovere libertà civili, eliminare la povertà estrema, porre fine alla violenza e favorire l’uguaglianza globale.

La libertà di stampa e dei media si trova al numero 16 della lista dei Sdg, e si propone di “assicurare l’accesso pubblico alle informazioni e a proteggere le libertà fondamentali, secondo le legislazioni nazionali e in base agli accordi internazionali”.

La Somalia in tal senso si dimostra del tutto inadempiente, basti citare il rapporto presentato nel forum, prodotto con il finanziamento da parte dell’Unesco. In esso si legge, tra l’altro, che otto giornalisti somali su dieci hanno sperimentato intimidazioni, minacce e abusi da parte del governo.

“In particolare – scrive il rapporto -, dal 2015 ad oggi, sono morti in circostanze violente 23 giornalisti, mentre molti altri hanno subito violenze nell’esercizio della loro attività”.

Un sistema giudiziario molto debole, processi investigativi inefficienti e mancanza di continuità nel perseguire e punire i fautori della violenza contro gli operatori dei media, come pure scarso supporto da parte della società civile in genere, fanno sì che sia a livello di governo federale che regionale si perpetuino violazioni dei diritti umani e della libertà di stampa e di espressione, interventi che rendono arduo il processo di implementazione dei Sdg.

Sempre secondo il rapporto, l’80 % degli account in rete (on line) dei giornalisti somali sono sotto sorveglianza, il 13% di loro ha avuto il telefono sotto controllo e il 7% ha visto il proprio sito attaccato. Tutte le voci di dissenso o alternative presenti sulle reti digitali vengono prese di mira o cancellate.

La già citata Fiona Lortan, responsabile dell’Atmis, ha ribadito che il mandato di Atmis include la protezione dei giornalisti, l’opporsi alla violenza e il sostegno all’impegno dei media per la pace e la stabilità del paese.

E Martha Njiiri, responsabile della comunicazione strategica dell’Igad (Autorità intergovernativa per lo sviluppo del Corno d’Africa) per la prevenzione e la lotta contro l’estremismo violento (Icepcve), ha infine dichiarato che il blocco regionale dei paesi del Corno opereranno a fianco dei lavoratori dei media nelle campagne contro gli attentati dell’estremismo jihadista. 

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