Sud Sudan: un prestito di 12,9 miliardi di dollari ripagato dal petrolio
Economia Politica e Società Sud Sudan
La notizia di un accordo tra Juba e una società di Dubai smentita dal ministro degli Interni
Sud Sudan: un prestito emiratino di 12,9 miliardi di dollari ripagato dal petrolio
23 Maggio 2024
Articolo di Redazione
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Impianto petrolifero nello stato di Unity (Credit: Eye Radio)

Alle già tante preoccupazioni che riguardano il futuro del Sud Sudan se ne aggiunge una nuova. Da giorni circola la notizia, smentita ieri dal ministro dell’Informazione Michael Makuei, della firma di un accordo per un prestito da 12,9 miliardi di dollari versati da una società emiratina, per ripagare il quale il governo impegnerebbe la maggior parte delle sue entrate petrolifere (che rappresentano il 29% del suo Pil) per 20 anni.

Un rapporto redatto da un gruppo di investigatori delle Nazioni Unite per il Consiglio di Sicurezza – che dovrebbe essere pubblicato a breve e che l’agenzia Bloomberg ha avuto modo di esaminare – rivela che i termini del prestito, negoziato a margine del vertice COP28 sul cambiamento climatico a Dubai, sono stati firmati dall’allora ministro delle Finanze Bak Barnaba Chol (sostituito dal presidente Salva Kiir a marzo) e da Hamad Bin Khalifa Al Nahyan, presidente del Dipartimento dei progetti di Hamad Bin Khalifa (HBKDOP), una società poco conosciuta gestita da un lontano parente della famiglia reale di Abu Dhabi.

L’accordo equivale a quasi il doppio del Pil del Sud Sudan e circa cinque volte l’attuale debito estero del paese, e rappresenterebbe il più grande prestito garantito dal petrolio che il paese abbia mai sottoscritto.

Non è chiaro se la prima tranche, del valore di 5,24 miliardi di dollari, sia già stata erogata.

Il documento delle Nazioni Unite citato da Bloomberg afferma inoltre che il 70% del prestito sarebbe destinato a progetti infrastrutturali.

Precedenti e prospettive allarmanti

Il Sud Sudan è un paese a lungo razziato dalle élite politico-militari che lo governano. Che hanno attinto a piene mani proprio dai proventi dell’export petrolifero, come ha in più occasioni documentato l’organizzazione The Sentry (del Progetto statunitense Enought!), il cui ultimo rapporto, del febbraio 2023, denunciava proprio un maxi scandalo su prestiti milionari garantiti dal petrolio. Anche allora i finanziamenti arrivavano da aziende degli Emirati Arabi Uniti.

A caccia di dollari

Dieci giorni fa il governatore della Banca centrale, James Alic Garang, prevedeva un aumento dell’inflazione e un indebolimento della sterlina sudsudanese a seguito del continuo calo delle riserve valutarie, evidenziando la profondità dei problemi economici che la nazione deve affrontare in vista delle elezioni generali previste per dicembre.

Evidentemente, grazie al prestito emiratino Juba spera di tamponare la carenza di preziosa valuta estera causata dal calo delle entrate derivanti dalla produzione di petrolio, che ha portato il governo a sospendere – e non per la prima volta – il pagamento degli stipendi ai dipendenti pubblici.

E questo è un altro aspetto critico, perché la principale fonte di entrate della nazione, le riserve petrolifere, ha avvertito ancora Garang, sono ai “minimi storici”, alcuni pozzi sono esauriti e la guerra nel vicino Sudan ha bloccato l’oleodotto che permette l’esportazione del greggio.

Un quadro questo, che solleva molti dubbi sulle reali capacità della nazione di ripagare il prestito.

A maggior ragione se si considerano le continue difficoltà del governo a soddisfare gli impegni finanziari e a saldare i debiti precedentemente contratti.

“Il Sud Sudan ha una storia problematica di accordi di questo tipo e ha perso cause giudiziarie per mancato rimborso”, ricorda il giornalista kenyano Kennedy Wandera sul suo profilo X. “Ha perso una causa presso il Centro internazionale per la risoluzione delle controversie sugli investimenti, derivante da un prestito di 700 milioni di dollari ricevuto dalla Banca nazionale del Qatar nel 2012”, per il quale è stato condannato a pagare più di 1 miliardo di dollari.

“Il governo del presidente Kiir – prosegue Wandera – deve inoltre 151,97 milioni di dollari alla Banca per il commercio e lo sviluppo dell’Africa orientale e meridionale, derivanti da un precedente accordo legato al petrolio”.

A fronte di questo quadro sconsolante, inquieta notare invece il continuo aumento della spesa militare, salita del 108% nel 2022 e di un ulteriore 78% nel 2023, per un importo complessivo di 1,1 milioni di dollari.   

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