Sudan: all’ONU i militari costringono al silenzio il capo di UNITAMS
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La giunta sudanese ha minacciato di bloccare la missione delle Nazioni Unite nel paese se Volker Perthes avesse parlato al Consiglio di sicurezza
Sudan: all’ONU i militari costringono al silenzio il capo di UNITAMS
10 Agosto 2023
Articolo di Redazione
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Volker Perthes

La guerra dichiarata dal regime militare al potere in Sudan contro l’inviato del segretario generale delle Nazioni Unite nel paese, Volker Perthes, ha registrato ieri un nuovo tassello.

Il 9 agosto il Consiglio di sicurezza si è riunito per discutere del conflitto in corso da quattro mesi tra l’esercito sudanese e i paramilitari Forze di supporto rapido (RSF).

A riferire doveva essere Perthes, in qualità di capo della Missione integrata di assistenza alla transizione in Sudan (UNITAMS), ma il governo sudanese ha minacciato di porre fine alla missione dell’ONU nel paese se questi avesse parlato al Consiglio.

Alla fine, nel briefing di ieri il suo nome è stato rimosso all’ultimo minuto e sostituito dall’assistente del segretario generale per l’Africa, Martha Ama Akyaa Pobee, e da Edem Wosornu, direttore delle operazioni e dell’advocacy presso l’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari, che hanno informato il Consiglio in sua vece.

Linda Thomas-Greenfield, ambasciatrice degli Stati Uniti e presidente di turno del Consiglio di sicurezza, ha parlato di «un atteggiamento oltraggioso».

«Nessun paese dovrebbe essere in grado di bullizzare e costringere un relatore al silenzio, figuriamoci le Nazioni Unite», ha aggiunto.

Ma questo, di fatto, è avvenuto. Senza che l’istituzione multilaterale fosse in grado di impedirlo.

Non è la prima volta che i golpisti sudanesi attaccano Perthes.

A fine maggio la giunta militare aveva espressamente chiesto al segretario generale dell’ONU di sostituire il funzionario, accusandolo di un coinvolgimento nell’escalation del conflitto.

Visto lo sdegnato diniego di Guterres, la mossa successiva è arrivata il 9 giugno, quando Perthes era stato dichiarato “persona non grata” in Sudan ed era stato costretto a trasferire la sua base a Nairobi.

Il quotidiano Sudan Tribune, che ha ottenuto copia del discorso che il capo dell’UNITAMS avrebbe dovuto tenere ieri, riporta il suo appello per una soluzione negoziata, per porre fine alla guerra in corso il prima possibile.

“Non ci sono alternative. Gli appelli di alcuni a continuare la guerra per ottenere una vittoria militare contribuiranno solo a distruggere il paese”, ha scritto Perthes.

Popolazione allo stremo

Il suo sostituto Edem Wosornu ha riferito al Consiglio la disperata condizione della popolazione sudanese, più della metà della quale ha urgente bisogno di aiuti.

Gli ultimi dati delle agenzie delle Nazioni Unite parlano di almeno 24 milioni di persone, la maggioranza delle quali sta affrontando una fame grave, con 6 milioni di persone già sull’orlo della carestia.

Circa 14 milioni sono bambini. Con 3 milioni di bimbi sotto i cinque anni che risultano malnutriti.

La situazione è particolarmente allarmante nelle regioni del Darfur, del Kordofan e nella capitale Khartoum, devastata da combattimenti e attacchi aerei sempre più intensi.

A raccontare l’orrore è Save the Children che l’8 agosto ha lanciato un allarme per alto rischio di diffusione del colera e di altre malattie epidemiche nella capitale, dove migliaia di cadaveri sono lasciati a decomporsi nelle strade sotto il sole e gli obitori sono al limite del collasso per la prolungata mancanza di energia elettrica e l’insufficiente capacità di immagazzinare e refrigerare i corpi.

L’organizzazione parla di “un’orribile combinazione di numero crescente di cadaveri, gravi carenze idriche, servizi igienico-sanitari non funzionanti e mancanza di opzioni per il trattamento dell’acqua”.

Disperata anche la condizione di chi ha bisogno di cure, visto che l’80% degli ospedali in tutto il paese non è operativo.

Save the Children riferisce che 71 degli 89 principali ospedali sudanesi sono fuori servizio, mentre il resto funziona parzialmente, e che alcune strutture sanitarie sono state attaccate e occupate da gruppi armati.

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