Sudan: le RSF controllano una stazione di pompaggio del greggio
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Dalla centrale di al-Aylafoun transita il petrolio sudanese e sudsudanese diretto al terminal di Port Sudan
Sudan: le RSF controllano una stazione di pompaggio del greggio
09 Ottobre 2023
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 4 minuti

In Sudan lo scorso fine settimana le Forze di supporto rapido (RSF) hanno preso il controllo della zona di al-Aylafoun, una trentina di chilometri a sud-est della capitale, Khartoum.

L’operazione, iniziata giovedì 5 ottobre, è particolarmente significativa perché vi si trova una delle quattro stazioni di pompaggio del greggio che avvia il petrolio sudanese e sudsudanese verso il terminal di Port Sudan, da cui viene esportato.

La commercializzazione del petrolio è finora continuata regolarmente, nonostante il conflitto che devasta il paese, ma il passaggio della stazione di pompaggio di al-Aylafoun alle RSF, e un suo probabile blocco, non può non avere un grave impatto sulle economie dei due paesi.

Secondo dati della Banca Mondiale, il Sud Sudan ricava dall’esportazione di petrolio il 90% delle sue entrate.

Secondo la Statistical Review of World Energy (Rivista statistica mondiale dell’energia) della BP, nel 2021 il Sud Sudan ha prodotto 153 mila barili di greggio al giorno. Il Sudan si ferma a 64 mila, ma incassa anche le royalty di uso delle infrastrutture del petrolio sudsudanese.

Da al-Aylafoun, le RSF si sarebbero già spinte anche in altre zone dello stato di Al-Jazira, nel Sudan centrale e vi hanno organizzato almeno tre presidi militari.

La situazione è particolarmente preoccupante perché lo stato di Al-Jazira è stato finora risparmiato dal conflitto.

I combattimenti per il controllo di al-Aylafoun hanno provocato la fuga di migliaia di persone. I miliziani delle RSF sono accusati da testimoni indipendenti di aver saccheggiato abitazioni e negozi, confiscato veicoli civili e di aver fatto numerosi arresti.

Tragedia umanitaria

Gli sfollati, tra cui molti già in fuga dai combattimenti che si protraggono ormai da sei mesi, si sono aggiunti agli oltre 5 milioni e mezzo di profughi che, secondo dati OCHA (l’organizzazione dell’ONU per il coordinamento degli interventi umanitari) hanno lasciato le loro case dall’inizio del conflitto.

Provengono in grandissima maggioranza da otto stati (il Sudan è una repubblica federale) e più di 3 milioni dalla sola capitale, Khartoum. 4,4 milioni hanno trovato rifugio in più di 4.400 località sudanesi in 18 stati, mentre 1,1 milioni hanno passato il confine con i paesi vicini (Repubblica Centrafricana, Ciad, Egitto, Etiopia e Sud Sudan).

La situazione è particolarmente grave in Ciad, che raccoglie i profughi dal Darfur, e in Sud Sudan, dove il flusso è costituito soprattutto da sudsudanesi residenti in Sudan costretti a tornare nel paese di origine.

Nei giorni scorsi il governo di Juba ha chiesto 358 milioni di dollari per far fronte alla situazione, ma gli appelli di emergenza sono stati largamente sottofinanziati.

Clementine Nkweta-Salami, vice rappresentante speciale in Sudan del segretario generale dell’ONU, l’ha descritta come la crisi che si aggrava più velocemente tra le tante in corso nel pianeta e ha aggiunto che la popolazione vive come sulla lama di un coltello.

Ha anche detto che finora le operazioni umanitarie hanno potuto raggiungere 3,6 milioni di persone dei 18 milioni che ne avrebbero estremo bisogno.

Epidemie

Particolarmente grave la situazione sanitaria, dal momento che almeno il 70% dei presidi sono stati messi fuori uso negli stati dove più accesi sono stati i combattimenti.

La difficoltà nel portare aiuto alla popolazione ha già provocato l’insorgere di epidemie.

Particolarmente grave è quella di colera, scoppiata nel campi profughi di Gedaref, nell’est Sudan, e a Khartoum, per cui si contano già oltre un migliaio di casi e più di 50 morti. Non mancano preoccupazioni per il moltiplicarsi di casi di morbillo e di dengue.

Secondo l’organizzazione indipendente Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED) specializzata nel raccogliere e leggere i dati relativi ai conflitti, le persone uccise nei quasi 6 mesi di guerra in Sudan sarebbero circa 9mila.

Il dato sarebbe confermato da quelli raccolti dai comitati di resistenza. A questi, dovrebbero essere aggiunti quelli morti per malattia, stenti e fame, cause strettamente legate al conflitto.  

Una vera e propria carneficina di cui ancora non si vede la fine.

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